I menhir di Briaglia
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Quanto
segue è il riassunto di una delle numerose schede di archeologia locale
disponibili presso l'ARS, frutto di oltre 25 anni di ricerche e di raccolta di
materiale.
Nel 1970, l'archeologo Janigro
d'Aquino iniziava una serie di scavi presso il paesino di Briaglia dove, secondo
le sue teorie, dovevano trovarsi tracce di insediamenti risalenti ai
Celto-liguri, popolazioni esistenti nelle nostre vallate molte migliaia di anni
prima dell'avvento dei Romani.
La fatica dell'archeologo fu coronata da successo: nelle colline di
Briaglia-S.Croce scoprì numerosi megaliti sbozzati a forma umana stilizzata
(statue-stele), a forma di animali (fra cui un bel cinghiale) o di obelischi
(menhir).
Il ritrovamento più sensazionale è stato il "dolmen", nome che archeologicamente
si dà a sepolture megalitiche con ingresso simile ai dolmen tradizionali. Era
formato da una galleria lunga oltre 30 metri che termina con una camera
mortuaria. All'interno si trovava un pozzo a forma di mezzaluna profondo una
ventina di metri. Sotto la crosta calcarea ricca di stalattiti furono trovate
tracce di ocra rossa, di cui i primitivi spalmavano corpi e tombe.
Da quando il professor D'Aquino ha interrotto gli scavi (durati circa 3 anni),
tutti i reperti sono stati abbandonati nel più completo degrado, e attualmente
molti menhir sono andati perduti oppure utilizzati per costruire muretti a secco, e il
prezioso dolmen sotterraneo non è più accessibile in seguito a frane.
Sarebbe auspicabile la ripresa di queste ricerche, affidata a qualche esperto
archeologo che sappia intuire e comprendere, come fece D'Aquino, l'architettura
dell'intero sito archeologico.
L'ARS è in possesso della documentazione relativa a queste ricerche, consistente in numerose fotografie eseguite a partire dagli anni '70 fino ai giorni nostri, nella raccolta di tutti gli articoli pubblicati nel periodo degli scavi, in materiale fornito all'ARS personalmente dal prof. D'Aquino e nei suoi progetti riguardanti le zone destinate agli scavi successivi, mai realizzati.
Alcuni dei menhir quando erano ancora ben
conservati ed esposti (anni '80)
Alcune delle pietre incise (in gran parte ora
scomparse) che per un certo periodo erano state conservate all'interno di una
chiesa
Il dolmen sotterraneo, il pozzo a mezzaluna,
un'altra camera sotterranea,
Il "cinghiale" (alto circa 1 metro) e un'arca
funeraria che per un certo periodo è stata utilizzata come vasca sulla piazza
del paese
Lo stato di degrado in cui si trovavano i menhir
a partire dagli anni '80 (giù per una scarpata o incorporati in muretti a
secco). Molti di essi sono scomparsi
I megaliti di Briaglia (articolo di G.Morello Strano, 1971)
E' una
scoperta recente, di questo 1971. Ettore Janigro D'Aquino, professore
di archeologia che tempo fa aveva scoperto le
“statue-stele” di Vicoforte Mondovì (1), ha esplorato tutto attorno valli e
colline al la ricerca di altre “pietre lunghe”; grosse pietre, quasi macigni,
che recano il segno di un antichissimo lavorio umano: in termini archeologici
«megaliti», cioè appunto «grandi pietre».
Il professore J anigro D'Aquino ha percorso
faticosamente a piedi le valli che attorniano Mondovì, cercando come un
segugio i segni di quei tempi così lontani e così diversi dai nostri che ci
sembrano quasi inconcepibili.
Alla fine la sua logorante fatica é stata coronata dal successo.
Nelle colline di Briaglia-S.Croce
egli ha scoperto megaliti più o meno sommariamente sbozzati a forma umana
stilizzata (statue-stele), o a forma di animali,
fra cui un bel cinghiale, o di obelischi (statue-stele-menhir); sullo sprone
di una piazzetta ha ricostruito con «menhir-lunati» un «cromlech», cioè un
cerchio di pietre sacre, come si ritrova specialmente nella preistoria
Britannica.
Non bisogna attribuire un significato moderno alla parola “statua-stele” per
denominare il “menhir”; perché il menhir è una stele che ospita l'anima del
trapassato: una stele viva che possedeva (e possiede?) un magico “mana”, cioé
l'anima del defunto. Ci si accosti perciò a questi
pietrosi trapassati con la dovuta considerazione.
Il ritrovamento, però che mi è
sembrato più sensazionale è il “dolmen”, nome archeologico che in area
Franco-Iberica si dà a sepolture megalitiche formate da pietroni disposti
come a portico d'ingresso. Se tale ingresso si appoggia a rocce friabili,
calcareo-tufacee, dà adito per lo più a una
galleria, scavata con funzioni di ipogeo: una specie di antenata degli ipogei
Etruschi, che sono più elaborati e più recenti. La galleria termina di solito
in un vano mortuario, secondo una pianta che ricorda quella delle abitazioni.
Il tutto era solitamente coperto di terra, per garantire l'inviolabilità del
sepolcro. Qualche stele era disposta sulla cima o all'ingresso della tomba,
per segnalare il luogo ai posteri.
Il dolmen di Briaglia scoperto dal Janigro presenta
tutte le caratteristiche dei “dolmen” Franco-Iberici: era coperto di terra,
tanto da sembrare una collina fra le altre; è formato da una galleria con vano
mortuario in fondo; presenta anche un elemento che qualche volta si riscontra
nei dolmen: un pozzo di acqua viva: acqua sacra come nei nuraghi a “dolmen”
della Sardegna? Una nicchia lunata scavata nella parte interna ricorda i
ripostigli delle abitazioni, che erano grotte e capanne.
La stalattite giallo-dorata ha
incrostato la galleria. Ma dove il professore, nel vano mortuario, ha fatto
scrostare per mettere a nudo la parete originaria è
apparsa una coloritura di ocra rossa, la sacra argilla di cui i primitivi
spalmavano corpi e tombe.
Naturalmente ci aspettiamo ulteriori conferme e
scoperte da scavi e studi locali per promuovere definitivamente a “Dolmen”
questa galleria, che va riportata al suo stato iniziale, manomesso dalla
frequenza dei contadini del posto, oltreché dai guasti del tempo e degli
elementi.
La scoperta dei megaliti e del “dolmen” in questa zona Piemontese è archeologicamente importante. Finora in Italia si conoscevano i segni di questa “cultura” soltanto in Sardegna, (“Domus de Janas”, “Menhir”) e nelle isole (recinti, grotte artificiali) nella Toscana, al confine Ligure della Lunigiana (Statue-stele}; e sporadicamente qua e là un pò ovunque, nel territorio Peninsulare, specialmente in Puglia; ma raramente in Piemonte, fatta qualche eccezione. Perché il Piemonte è stato fino ad epoca Romana il lembo occidentale di una grande, inattraversabile palude: La Padana, lussureggiante di canneti, boscaglie, foreste vergini. Gli attuali fiumi erano acquitrini o laghi senza un vero e proprio letto: le strade dovevano per forza bordeggiare una pista alta almeno 300 metri: una linea, come tuttora si dice, di “costa”.
Le colline di Briaglia si trovano appunto all'altitudine attuale di 300-500 metri, una zona già salubre anche in tempi remoti. Fiumi e ruscelli che ovunque hanno tracciato le prime strade portano, mediante vicini valichi alla Liguria di quel “Ponente” che ci ha restituito le grotte paleo-neolitiche dei “Balzi Rossi” (Ventimigliese), del Finalese (“Toirano”, “Finale”) e via via di altre sedi preistoriche meno importanti che, arrivando fino all'età “del ferro”, abbracciano approssimativamente circa 200 mila anni, (dai “Neanderthal” di 200.000 anni fa ai Liguri pre Romani del 500-300 A.C.).
La cultura megalitica, questa a
cui si riferiscono i ritrovamenli di Briaglia, si manifesta nell'età della
pietrafinale e si prolunga fino all'età del ferro. In Europa sembra essersi
diffusa nel II-III millennio A.C., in oriente anche
molto prima. Si può considerare come l'esasperazione
della cullura della pietra; e anche il “patriarcato” applicato alla pietra. La
neolitica levigatura che prima era stata affidata a tribù
matriarcali aveva ceduto il posto alla virile grossa pietra di uomini
eccezionalmente robusti, fra cui nacquero gli eroi del mito. Erano
agricoltori-pastori che avevano imparato a maneggiare grossi macigni anche a
scopo di difesa, allineandoli e sovrapponendoli in mura da cui nascerannno
ciclopiche acropoli e castellari, recinti, nuraghi, sepolcri.
La religione, che era superstizione e magia, «animismo» come tuttora sussiste
in tanti popoli selvaggi, attribuiva ai sacri megaliti un potere magico.
Non per niente nel sec. VIII d.C., ai tempi di
Liutprando, fu ordinato l'interramento e la mutilazione dei “menhir” a cui si
tributavano ancora culti pagani. La nostra generazione superficiale e (non del
tutto) disincantata li sta ora dissotterrando con crescente stupore.
Il rinvenimento
per ora più ricco e importante, oltrechè quasi
Ligure anche secondo la distribuzione etnica attuale, è quello della
Lunigiana, in cui sono state trovate più di trenta “statue stele”, che sono
state studiate e attribuite a un'età che abbraccia la “pietra finale” e il
“Primo ferro”, cioé la stessa età dei “megaliti” di Briaglia, sebbene in forma
più evoluta.
Nello stesso tempo, all'estremo ponente Ligure dell'entroterra Ventimigliese,
nasceva e si arricchiva il più grande “libro di pietra” che non solo la
preistoria ligure ma la preistoria di tutto il mondo
ricordi: Monte Bego.
Monte Bego ha un'altitudine di
circa tremila metri e si trova nelle Alpi Marittime, poco
a ovest del Colle di Tenda, in territorio attualmente Francese. Domina
valli e vallette infiorate di laghi glaciali, come Val Meraviglie, Valauretta,
Fontanalba, ecc. che assommano il versante Tirrenico (Roja} e
quello Padano (Tanaro). Il colle di Tenda, di Nava,
di S.Bernardo e altri minori permettono infatti
facili comunicazioni Liguri Piemontesi.
Questi valichi sono molto vicini, come ho già detto, alle colline di Briaglia.
Inoltre le trentaseimila incisioni scoperte sulle pareti rocciose che
circondano il Bego si riferiscono alla stessa età megalitica delle “pietre
lunghe” di Briaglia: e, per di più, gli incisori che hanno allietato i macigni
di pugnali, corna, ometti stilizzati e aratri erano pastori-agricoltori che
salivano al monte stagionalmente. Forse gli stessi pastori-agricoltori di
Briaglia?
Ettore Janigro D'Aquino tende a credere di no; egli trova attinenze
specialmente col megalitismo delle isole Egadi,
della Sardegna, della Lunigiana; ma com'è giusto, è cauto nelle sue
affermazioni.
Chiudiamo quindi l'argomento che
qui si intende soltanto segnalare e agitare, perché
presuppone l'esistenza di popoli pastori-agricoltori nel Piemonte Prealpino,
mentre fin d'ora si tendeva a credere che a quell'epoca esistessero soltanto i
pallidi marcescenti “palafitticoli” della bassa Padana.
Tale notizia è giunta a Genova attraverso “Il Secolo”,
in cui un articolo di Raffaele Sasso, pubblicato il giorno 17-X-1971 ha
provocato l'interessamento di quanti si dedicano alla preistoria ligure; e non
sono pochi.
Perché di Liguri si tratta: Liguri erano questi antichissimi Monregalesi che vivevano nelle alture di Briaglia, sull'orlo del pantano Padano: della stessa stirpe “Alpino-Neolitica” forse, che caratterizzava i “Montani” di Genova e di tutta la Liguria. Quei montani puri, gelosi delle loro tradizioni, sempre in lotta con gli spregiudicati “Marittimi”, che riusciranno a prevalere, purtroppo.
Mondovì: emerge un misterioso passato (articolo di Roberto d'Amico, 1972)
Il trattore che sta camminando, quasi con fatica, davanti a me, si dilegua. Anche quell'utilitaria color nocciola scompare. Eppure restano alcuni elementi del paesaggio, come scenari immutabili. Andiamo indietro di ben quattromila anni per un gioco nel tempo, annullando ore, giorni, mesi. Briaglia torna com'era, e questi massi ritti sul terreno acquistano un significato più pieno, più storicamente valido.
Il paese, arroccato sulla collina, circondato da campi e vigneti a due passi da Mondovì, nasconde un segreto. Ha tentato di scoprirlo, con una paziente opera di ricerca, il professor Emilio Janigro D'Aquino, appassionato archeologo di Casale Monferrato. Dopo tre anni di studi, D'Aquino ed i suoi collaboratori hanno ritrovato i resti di un popolo di cui sino ad ora nulla si sapeva. Lo studioso ritiene che questi monumenti megalitici siano stati innalzati dalla tribù dei Liguri Bagienni. Egli pensa che questo popolo, probabilmente proveniente dal Mediterraneo Orientale, sia dapprima approdato in Sardegna, fondando la civiltà nuragica, proseguendo poi per la Corsica e l'Isola d'Elba, arrivando successivamente fino alte coste della Liguria. Forse anche gli Etruschi apparterrebbero a questa migrazione.
Seguendo poi il corso del fiume Tanaro, i Bagienni continuarono il loro grande esodo. I resti dimostrano questa loro inclinazione a seguire il fiume; reperti archeologici sono stati infatti trovati anche a Torre, Vicoforte e Niella Tanaro, dove costruirono villaggi e necropoli.
D'Aquino è quasi certo che da una migrazione analoga dovette originarsi la civiltà megalitica nordica. E ciò sarebbe dimostrato dal fatto che quando popolazioni Celtiche scesero dal Nord e invasero l'Italia Settentrionale, non ci furono guerre o lotte, ma i popoli, molto affini tra di loro per religione e sistema di vita, si amalgamarono senza fatica. La stessa cosa accadde quando in Piemonte scesero genti della civiltà druida, essenzialmente dello stesso gruppo razziale.
Lo scontro si ebbe invece con un popolo di ceppo diverso, quale quello Romano. Ma, come sappiamo, Roma vinse e seppellì tutti questi popoli con le sue leggi e le sue religioni, cambiando i nomi delle tribù. Per questo, fino ad oggi, questa civiltà era sconosciuta.
Le ricerche non sono che all'inizio, ma già i risultati sono sorprendenti. Oltre a numerosissimi Menhir, sono stati recuperati alcuni Cromlech, altari dedicati alla Luna, l'antica Dea Madre, e moltissimi dolmen funerari. Il dolmen che ho potuto visitare, portato alla luce da giovani del Gruppo Speleologico di Mondovì, è lungo circa 25 metri. È formato da un lungo corridoio, su cui si aprono un pozzo ed una nicchia, e dalla camera mortuaria. Il tutto scavato artificialmente in un materiale simile al tufo e dipinto con ocra rossa. Il tempo ha ricoperto le pareti con uno spesso strato di incrostazioni calcaree e solo in alcuni punti è possibile vedere la trasudazione dell'ocra.
A sinistra dell'ingresso e, come ho detto, all'interno, vi sono due pozzi molto profondi. la loro specifica funzione è ancora un mistero, si pensa che possano mettere in comunicazione con un'altra camera mortuaria ad un piano inferiore. È probabile che sotto allo spesso strato di melma che fa ora da pavimento vengano alla luce le spoglie delle persone influenti dell'epoca. Queste tombe erano segnalate da alcuni 'menhir", probabilmente stanti a simboleggiare misteriose divinità protettrici.
Questa scoperta ha un notevole valore scientifico. Fino ad ora gli unici monumenti megalitici italiani erano i dolmen del Salento e di Bisceglie, nelle Puglie. Quelli scoperti ora sono i primi delI'Italia Settentrionale.
Si sta ora
formando un gruppo di ricerca formato da geologi ed archeologi volontari
sotto la supervisione della sovrintendenza alle antichità del Piemonte e con
il patrocinio della società di studi storici, artistici ed archeologici di
Cuneo.
Pianta del dolmen sotterraneo