Le argille delle grotte-                     

Quanto segue sono alcuni brani tratti dalla ricerca di speleologia effettuata dall'ARS (in particolare da Sergio Piazzo) in oltre 20 anni, che comprende un trattato sulla vita nelle grotte (biospeleologia) ed una indagine approfondita sulle grotte delle Alpi Liguri (in pratica, riguardanti le valli Ellero, Maudagna, Corsaglia, Casotto, Tanaro, Roburentello e limitrofe), completa di fotografie, piantine, dati scientifici, rilievi, ecc. Questa ricerca è fin d'ora a disposizione di tutti gli interessati, ma verrà inserita in questo sito poco per volta perchè la maggior parte dei testi devono ancora essere inseriti nel computer, e la cosa richiederà abbastanza tempo (si tratta di molte centinaia di pagine).


Le argille delle grotte.

Se si smuove e si manipola l’argilla delle grotte (ad esempio per costruire un ambiente dove allevare insetti cavernicoli), si nota che qualche giorno dopo essa si trasforma e mostra segni di decomposizione. Questo non succede se si tagliano dei blocchi delle dimensioni desiderate e si utilizzano senza impastarli: in questo modo non si sviluppano muffe ed altre alterazioni.

Tutto questo dimostra l’esistenza di un ambiente, quindi di una vita, all’interno dell’argilla. Lo squilibrio di questo ambiente viene causato con l’impasto, modificandone l’equilibrio chimico-fisico (temperatura, concentrazione di CO2 , scambi con l’esterno, ecc.) e creando conflitti tra la flora microbica originale e quella introdotta con la manipolazione

I minerali più frequenti nell’argilla sono il ferro, il manganese e l’alluminio, ed in misura minore lo zinco, il cobalto e il litio. Ed in questo ambiente si sviluppano microorganismi tipici dell’argilla, tra i quali i più importanti sono i ferrobatteri, la cui presenza nell’ambiente sotterraneo è costante, e che possono servire come test biochimico per lo studio dell’ambiente argilloso sotterraneo.

Le argille delle grotte si distinguono dalle altre argille per alcuni caratteri fisici, per una maggior quantità di oligo-elementi e di ferrobatteri. Inoltre, le argille delle grotte non attraversano, come quelle di superficie, fasi alterne di essicazione e di umidificazione.

I ferrobatteri sono microorganismi autotrofi, cioè capaci di sintetizzare la loro sostanza organica a partire dai minerali, lontano dalla luce solare, e sono accompagnati da batteri eterotrofi, inadatti alle sintesi organiche, i quali vivono sfruttando i primi.

La loro presenza fu scoperta nel 1944, quando si accertò che sono sprovvisti di pigmento e sono visibili solamente a 2500 – 10.000 ingrandimenti, al microscopio elettronico.

I ferrobatteri decompongono il carbonato di ferro e ossidano l’ossido ferroso che si trasforma in ferrico, mentre si depositano cristalli aghiformi di idrossido ferrico.

Un ferrobatterio largamente diffuso nelle argille delle grotte è il perabacterium spaelaei. Esso misura da 1 a 1,5 micron e spesso assume la forma di una bisaccia (da cui il nome "pera"). Questo batterio ottiene il suo carbonio dalla decomposizione del carbonato ferroso, e la sua energia dall’ossidazione dell’ossido ferroso, ed inoltre fissa l’azoto dell’aria.

La popolazione batterica delle argille è alla base della vita sotterranea, poiché le piante non esistono nelle grotte a causa della mancanza di luce. L’argilla, all’interno delle grotte, rappresenta anche un ambiente riduttore che si oppone a qualsiasi sviluppo di muffe: queste (aspergillus, penicillium, ecc.) sono costrette ad incistarsi in attesa di una improbabile presenza di sostanze organiche sulle quali esse possono svilupparsi solo in modo temporaneo e limitato. Per questo motivo i tagli e le altre ferite che gli speleologi possono procurarsi in grotta si infettano molto raramente.

Lo stesso avviene per i batteri trasportati dall’aria all’interno delle grotte: a causa dell’elevata umidità essi si trovano inglobati in una pellicola d’acqua che li fa precipitare al suolo poco dopo l’ingresso. Questa è una delle ragioni per cui lo speleologo, che agisce in un ambiente ostile per umidità e temperatura, spesso spossato, bagnato e tremante dal freddo per ore, resta in perfetta salute sotto terra.

L’argilla risolve anche un problema comune agli speleologi che sistemano nelle grotte strumenti scientifici: per evitare muffe, umidità, condensazione, sgocciolìo, basta circondare di uno strato di argilla gli strumenti ed essi si conservano asciutti e puliti.

L’argilla ha un ruolo di primaria importanza nella vita sotterranea. Essa favorisce l’assorbimento del vapore acqueo presente nell’aria, in quanto contiene microcristalli di silicato di alluminio che hanno la proprietà di fissare sulle loro superfici un gran numero di molecole d’acqua. Si può paragonare il ruolo dell’argilla a quello di un disidratante come il cloruro di calcio; l’argilla satura d’acqua, però, non passa allo stato liquido, bensì acquista una maggiore plasticità.

Come si forma l’argilla? La sua origine sarebbe dovuta alla disgregazione di feldspati in presenza di aria e acqua ricche di anidride carbonica. L’argilla di grotta sarebbe dunque in gran parte un prodotto di superficie che, trascinato dall’acqua, sarebbe stato depositato sotto terra: le particelle più piccole restano incollate alle pareti delle fessure e delle gallerie, mentre i granelli più grossi, scesci fino in fondo, avanzano nei letti dei ruscelli che sprofondano nelle spaccature calcaree. Lo speleologo che percorre un ruscello sotterraneo trova questi depositi argillosi ad ogni meandro: questa argilla è spesso molto sabbiosa e contiene una forte percentuale di materie organiche, e per questo attira gli insetti cavernicoli.

Ma non solo nell’argilla si trovano batteri: ne esistono alcuni in grado di decomporre la roccia. La loro presenza è indicata, in certe parti delle gallerie non dilavate dall’acqua, da pareti rocciose completamente marcite e spugnose al punto che, appoggiandovi una mano, vi resterà una impronta profonda. Questa corrosione da parte dei batteri facilita l’erosione e contribuisce all’ingrandimento della cavità.

A volte si trovano depositi di argilla sulle pareti, e sulle piccole sporgenze e rientranze della grotta. La finezza e il colore di questa argilla fa pensare alla crema al cioccolato. L’acqua fangosa satura di argilla, riempiendo completamente una galleria con scorrimento lento, si decanta di questi materiali: la parte sabbiosa si deposita per prima, poi la parte polverosa, mentre l’argilla più sottile resta in sospensione nell’acqua: essa è l’argilla colloidale, o di decalcificazione.

Questa si incolla alle pareti grazie alla sua estrema finezza. Il fenomeno viene accentuato quando le acque fangose incontrano dei laghetti sotterranei sature di carbonato di calcio che mescolandosi alle nuove acque provocano la flocculazione dell’argilla colloidale.

Il deposito di questo tipo di argilla ricopre tutte le pareti, e sembra fatto con uno spruzzatore. Questa sottile pellicola argillosa ha permesso agli uomini preistorici – grattandola via – di dar rilievo ai loro disegni col bianco del calcare sottostante.

Qualche volta il deposito argilloso non è uniforme ed appare come un labirinto di disegni filiformi aggrovigliati in tutte le direzioni: sono i depositi vermicolati. Probabilmente si sono formati con la rapida essicazione del sottile strato di argilla, che ha costretto le particelle in sospensione nella pellicola liquida che ricopriva la parete ad agglomerarsi per conservare tra esse il massimo di umidità.

La limonite è un tipo di argilla di un bel colore rosso, è grassa ed irrita sensibilmente la pelle al contatto, ed è un prodotto particolare e specifico dei batteri perabacterium spelaei e di altri ferrobatteri che li accompagnano. Essa è formata da cristalli aghiformi dello spessore di 1/10 di micron e lunghi 1-1,5 micron, espulsi dalla guaina del peribacterium di natura mucillaginosa e impregnata di idrossido ferrico. Questi aghi, idratandosi, assumono un profilo fusiforme e si disgregano nell’ambiente.

Un fenomeno curioso è la formazione degli abeti d’argilla, che si sviluppano soprattutto sulle argille plastiche temporaneamente immerse, ma al riparo da correnti. L’acqua, dopo aver dilavato le masse argillose e le pareti, ha decalcificato queste ultime e si è caricata di un fango ricco di carbonati il quale, depositato in luoghi calmi, cristallizza non appena le acque si sono ritirate.

Le pareti delle pozzanghere argillose spesso sono ornate dagli abeti inversi: il deposito ha un aspetto vellutato e sembra formato da fronde di felce sovrapposte le una alle altre. Qui l’argilla arricchita non è rimasta su un piano, i cristalli depositati man mano che le acque si abbassavano sono stati sospinti verso il basso dal leggero ruscellamento lungo la parete che dilavava la parte superiore a beneficio della parte inferiore del deposito di limo. Questa ha cristallizzato più rapidamente assumendo l’aspetto dentellato della felce.