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L’Astronomia nei testi biblici

Giuseppe Veneziano
(Osservatorio Astronomico di Genova)


 Sommario

1.                 Introduzione
2.
                 La Bibbia nel contesto storico-religioso dell’antico Israele
3.
                 Le fonti storiche: la Bibbia e il Talmud
4.
                 Il difficile connubio tra Bibbia e Scienza
5.
                 La Bibbia come libro poetico, ma non solo
6.
                 Il cielo, il calendario e le feste ebraiche
7.
                 I misteriosi fenomeni solari del testo biblico
8.
                 La cosmologia dell’Antico Testamento
8.1
               Il firmamento
   2
               La forma e la posizione della terra
   3
               Giorno e notte, luce e tenebre, anni e stagioni
   4
               La durata dei giorni creativi
9.                  Conclusioni                 

1.      Introduzione  

“ In principio Dio creò i cieli e la terra.
(Genesi 1:1)

Queste semplici parole introducono il libro antico più diffuso e tradotto in tutto il mondo: la Sacra Bibbia.[1] Nessun altro libro come la Bibbia ha dato adito a  discussioni e a divergenze di opinioni: molti ritengono che sia solo un libro scritto da saggi in un’epoca remota e ormai tramontata; altri che le opinioni esposte dagli autori della Bibbia siano condizionate e limitate dal grado di conoscenze di quei tempi; altri ancora affermano che è un libro ispirato da Colui che ha creato tutte le cose, e che i principi in essa esposti sono validi tutt’oggi. Per valutare tali opinioni forse non basterebbe dedicarvi un intero convegno.

 La Bibbia, che in realtà non è un’opera unica ma è composta da 66 scritti, comunque viene universalmente considerata come la più autorevole raccolta di libri della storia umana.[2] Essa ha ispirato alcuni dei massimi capolavori dell’arte, della letteratura e della musica. Ha influito significativamente sulla giurisprudenza. È stata esaltata per l’influenza avuta nella storia e nell’evoluzione del pensiero umano. Ma al tempo stesso viene oggi considerata con scetticismo da molti che, pur riconoscendone il valore letterario o storico, la considerano estranea a quest’era scientifica e tecnologica.

 A questo punto quindi ci si presentano alcune domande. Qual’è la causa di queste divergenti opinioni? Come può un libro, scritto in un arco di oltre 1600 anni e completato circa 2000 anni fa, essere accurato dal punto di vista scientifico? Vedremo di dare una risposta plausibile a tali domande considerando innanzi tutto il contesto sociale e religioso nel quale la Bibbia fu scritta, e analizzando infine alcune delle citazioni scientifiche che vengono in essa riportate. 

 2.      La Bibbia nel contesto storico-religioso dell’antico Israele.

 La Bibbia è stata legata da sempre alla storia dell’antico popolo di Israele; popolo per lunghi periodi nomade e, in seguito, stanziale, dedito all’allevamento, alla pastorizia e all’agricoltura. La religione del popolo ebraico, dall’inizio della sua storia ad oggi, è stata contrassegnata da una elevata teologia monoteistica che non ha eguali nelle antiche popolazioni dell’area mediterranea, che invece erano caratterizzate da religioni estesamente politeiste. Ogni contatto del popolo ebraico con le altre nazioni era visto come un pericoloso atto che poteva contaminare la pura adorazione e minare le fondamenta stesse della propria spiritualità. La legge – o meglio, il codice di leggi – che secondo la tradizione Dio diede a Mosè poco prima di entrare in Canaan – la terra promessa – ribadiva più volte questo concetto. Essa proibiva agli israeliti – pena la morte – di adottare le pratiche religiose dei cananei (tra queste erano incluse l’adorazione degli oggetti celesti) o di fare con loro alleanze matrimoniali. Come vedremo in seguito, le stesse pratiche liturgiche regolate da tale legge, davano agli israeliti delle alte norme morali, comportamentali ed igieniche, nettamente superiori a quelle adottate dagli altri popoli dell’antichità. Queste norme appartavano o isolavano ideologicamente il popolo di Israele dalle credenze dei popoli vicini, anche se in numerosi casi essi cedettero poi rovinosamente ai loro allettanti stili di vita. Quindi, anche la loro cultura e le loro conoscenze scientifiche, che traspaiono dagli antichi testi biblici, hanno qualcosa di estremamente peculiare.

 Un’altra particolarità della cultura ebraica che li appartava dagli altri popoli era la peculiarità dei nomi propri. Numerosi dizionari rivelano che i nomi propri non erano una semplice etichetta, ma rappresentavano la vera personalità di colui al quale il nome apparteneva.[3] Per esempio, Salomone, sotto il cui regno Israele visse un periodo di pace e prosperità, significava “Pacifico”.  Inoltre, tali nomi potevano essere modificati a seconda delle circostanze. Ad esempio, il nome del patriarca Abramo, che significava “padre di esaltazione”, divenne poi Abraamo, “padre di una moltitudine”, ad indicare che da esso sarebbe discesa una grande nazione. In modo analogo il nome del primogenito di Isacco, che era Esaù (“peloso”) divenne poi Edom, che significa “rosso” o “rossastro”; il primo descriveva probabilmente una sua caratteristica fisica alla nascita, il secondo ricordava che egli aveva venduto la sua primogenitura al fratello Giacobbe per un piatto di minestra di lenticchie rosse. O ancora, la moglie di Abramo che inizialmente era chiamata Sarai, “litigiosa”, divenne poi Sara, che significa “principessa”.

 A questa particolarità non sfuggiva neanche l’Iddio della Bibbia. Nei Dieci Comandamenti originali tale nome ricorre otto volte, mentre nelle intere scritture in lingua ebraica esso viene riportato quasi 7000 volte. Nel testo originale esso appare sotto forma di un tetragramma (cioè formato da quattro lettere): תותי. In ebraico esse si leggono da destra a sinistra e in molte lingue moderne si possono rappresentare con le lettere YHWH oppure come JHVH. Tale nome è una forma del verbo ebraico hawàh (תות), che significa “divenire”, e in effetti Dio è personificato dal popolo ebraico come “Colui che fa divenire”, come Colui che adempie progressivamente le sue promesse e realizza immancabilmente i suoi propositi.

 Se il significato di questo nome è noto, non altrettanto si può dire della sua effettiva pronuncia. Infatti, nella lingua ebraica, che fu la prima delle tre usate per scrivere la Bibbia, era d’uso scrivere solo le consonanti, senza le vocali. Queste ultime venivano inserite “a voce” nella parlata comune.

 Facciamo un esempio a noi più vicino che serve a rendere l’idea: secondo l’uso ebraico, la parola “palazzo” verrebbe scritta esclusivamente con le consonanti “plzz”. Le vocali “a-a-o” verrebbero inserite in seguito da colui che leggerà o pronuncerà tale parola. Ma che dire se questa parola cadesse in disuso o smettesse di essere pronunciata per un lungo periodo? Potrebbe accadere che si perderebbe l’esatta pronuncia originale, per cui, inserendo altre vocali si avrebbe una pronuncia diversa. “plzz” potrebbe diventare “palazzo”, ma anche “polizza” o “peluzzo”. Questo è quanto accadde all’esatta pronuncia del nome dell’Iddio della Bibbia. Finché l’ebraico antico continuò a essere una lingua d’uso quotidiano, non ci fu nessun problema nel pronunciare correttamente il tetragramma YHWH (o JHVH). La pronuncia di tale nome era nota agli israeliti, per cui quando lo vedevano scritto vi aggiungevano automaticamente le vocali. Ma in seguito vi furono due fattori che modificarono questa situazione. Primo, fra gli ebrei nacque una superstizione secondo cui non si doveva pronunciare udibilmente il nome divino; così quando lo incontravano nella lettura delle sacre scritture pronunciavano al suo posto la parola ebraica ‘Adhonày (“Sovrano Signore”).[4] Secondo, col passare del tempo l’ebraico antico cessò di essere una lingua d’uso quotidiano, venendo soppiantata pian piano dall’aramaico, e così l’originale pronuncia ebraica del nome di Dio fu infine dimenticata. Durante la stesura dei Vangeli, in epoca apostolica (I secolo d.C.), che furono scritti in lingua greca, là dove c’era tale nome venne mantenuto il tetragramma ebraico.

 Solo nella seconda metà del primo millennio d.C. alcuni eruditi ebrei, escogitando un sistema di punti per rappresentare le vocali mancanti, li collocarono accanto alle consonanti preservando la pronuncia comune a quell’epoca. Da ciò derivò la grafia YeHoWaH (o JeHoVaH, Geova in lingua italiana). Altri studiosi moderni invece, nel tentativo di ricostruire la pronuncia originale più antica di tale nome, hanno suggerito la grafia YaHWeH (o JaHVeH). Da questo nome deriva il termine “Alleluia” (halelu-Yàh), che significa “lodate Jah”, abbreviazione di Jahveh. Comunque, pur nell’impossibilità di ricostruire con estrema certezza la pronuncia di tale nome, entrambi sono stati storicamente usati, sia nelle Bibbie dell’epoca, sia in dipinti nelle chiese o coniati su monete.

 Su molte versioni più moderne della Bibbia, ove ricorre il tetragramma, tale nome proprio  è stato di sovente sostituito in modo arbitrario con titoli quali Dio (ebraico Elohìm, greco Theòs) e “Signore” o “Sovrano Signore” (ebraico ‘Adhonày, greco Kỳrios, latino Dominus). 

 

3.      Le fonti storiche: la Bibbia e il Talmùd.

 Le fonti storiche da cui ricavare le concezioni scientifiche – e non – dell’antico popolo di Israele, sono essenzialmente due: il testo biblico ed il Talmud.

 Il primo copre un periodo temporale che va dalla creazione dell’uomo (posta dalla cronologia del racconto biblico attorno all’anno 4026 a.C.) fino alla distruzione di Gerusalemme ad opera degli eserciti romani, comandati dal generale Tito, figlio dell’imperatore Vespasiano, avvenuta attorno al 70 d.C. Tale evento vide la definitiva distruzione del tempio di Gerusalemme.[5] Durante la conquista della città, seguita ad un lungo e tremendo assedio descritto dallo storico Giuseppe Flavio, i Romani diedero alle fiamme anche agli archivi che contenevano le registrazioni genealogiche della discendenza e dei diritti ereditari di ogni tribù e famiglia. (Guerra giudaica, VI, 250, 251 [iv, 5]; II, 426-428 [xvii, 6]; VI, 354 [vi, 3]) Quindi non sarebbe più stato possibile stabilire legalmente l’appartenenza alla tribù messianica di Giuda e alla tribù sacerdotale di Levi.

La conquista era avvenuta in soli 4 mesi e 25 giorni, dal 3 aprile al 30 agosto del 70 E.V. La tribolazione degli abitanti della città dunque, anche se intensa, fu assai breve. Le azioni e il comportamento irragionevole degli ebrei all’interno della città senza dubbio contribuirono ad abbreviarla. Giuseppe Flavio fa ammontare a 1.100.000 il numero dei morti, ma ci furono superstiti. (Confronta la scrittura dal vangelo di Matteo 24:22). Vennero presi 97.000 prigionieri, che subirono la diaspora cioè la deportazione e lo sparpagliamento nell’intero Impero Romano. Molti di essi furono venduti schiavi in Egitto o furono uccisi dai gladiatori o dalle belve nelle arene delle province romane. Ancora oggi a Roma, il monumentale Arco di Tito ricorda quei drammatici eventi, visti naturalmente dalla parte dei vincitori.

 Durante i 150 anni successivi alla distruzione di Gerusalemme e del suo tempio, le accademie rabbiniche in tutto Israele cercarono urgentemente qualcosa di nuovo per tener vivo il giudaismo. Dibatterono e consolidarono varie tradizioni della loro legge orale (che nel corso dei secoli si era sovrapposta alla legge mosaica), stabilendo su queste nuovi limiti e norme per il giudaismo, fornendo una guida per condurre una vita quotidiana in santità in mancanza di un tempio. Questa nuova struttura spirituale confluì nella Mishnàh, redatta da Giuda ha-Nasi all’inizio del III secolo d.C.

 La Mishnàh però si basava esclusivamente sulla propria autorità, non ricercando giustificazioni nel testo biblico. Il suo metodo di esposizione e perfino lo stile in cui fu scritta erano unici, diversi da quelli dell’Antico Testamento (o Scritture Ebraiche)[6]. I rabbini sentirono quindi il bisogno di dimostrare che gli scritti dei maestri della legge orale contenuti nella Mishnàh erano in perfetta armonia con i precetti contenuti nell’Antico Testamento. Iniziarono così una nuova fase di discussione e di dibattito religioso. Ogni parte della Mishnàh fu analizzata con lo scopo di conciliare i vari insegnamenti, eliminare le contraddizioni e ricercare quei passi delle Scritture Ebraiche che sostenevano gli insegnamenti rabbinici. Questa enorme mole di lavoro, portata avanti per generazioni, culminò tra la fine del IV e l’inizio del V secolo, nella stesura del Talmud,[7] proprio nel periodo in cui ondate di restrizioni e persecuzioni sotto la crescente autorità della Chiesa di Roma avevano portato (verso il 425 d.C.) alla soppressione del Sinedrio (l’alta corte giudaica) e della carica di Nasì (patriarca).

 Questa nuova opera, il Talmud, assunse così una forma di culto: l’uso della mente umana a presunta imitazione della mente di Dio. Diede agli ebrei perseguitati del Medioevo una impronta caratteristica che li distingueva dagli altri, nonché la loro straordinaria capacità di resistenza e coesione, un mondo diverso in cui rifugiarsi e, dopo la perdita della loro terra, gli diede una identità nazionale ovunque andasse. Alcune delle concezioni scientifiche riportate nel Talmud però, come vedremo in seguito, differiscono da quelle contenute nelle Scritture Ebraiche della Bibbia.

 Durante il passare del tempo qualcuno ha messo in dubbio l’attendibilità del testo biblico attualmente disponibile. Fino al secolo scorso, in effetti, i più antichi manoscritti delle scritture ebraiche complete erano del X secolo d.C. circa. Ciò faceva sorgere dei dubbi circa l’effettiva fedeltà di quelle traduzioni rispetto agli originali. Questo fino a che, all’inizio del 1947, un giovane pastore beduino scoprì una grotta nei pressi del Mar Morto all’interno della quale egli trovò alcune giare di terracotta, quasi tutte vuote. Ma in alcune di queste, ben sigillate, erano conservati dei rotoli di pelle avvolti in tele di lino. Questi rotoli, logori ma ben conservati, contenevano il libro biblico del profeta Isaia. La datazione con il metodo del Carbonio-14 faceva risalire questo manoscritto fra il 202 e il 107 a.C. (II secolo a.C.), quindi a più di mille anni prima. In seguito, grazie al metodo di datazione paleografico,[8] si restrinse tale periodo al 125-100 a.C. Grazie a questa eccezionale scoperta, furono successivamente ritrovati numerosi altri rotoli, sempre della stessa epoca. Il confronto tra il contenuto filologico di questi rotoli e le stesse trascrizioni dei manoscritti medioevali hanno ampiamente dimostrato che le moderne traduzioni rappresentano con notevole fedeltà le parole degli scrittori originali della Bibbia,[9] tanto che Sir Frederic Kenyon, celebre archeologo e allora direttore del British Museum poté dichiarare: “Non è troppo esagerato asserire che in sostanza il testo della Bibbia è sicuro…Questo non può dirsi di nessun altro libro antico al mondo.” [10]

 

4.      Il difficile connubio tra Bibbia e scienza.

 La religione non ha sempre visto la scienza di buon occhio. Durante i secoli passati numerosi teologi si sono opposti alle scoperte scientifiche ritenendo che queste potessero mettere a repentaglio la loro interpretazione della Bibbia. Purtroppo, a fare le spese dell’assurdità di certi dogmi della Chiesa di Roma, che si basavano su una interpretazione letterale della Bibbia, furono anche i più autorevoli astronomi del passato, tra i quali Nicola Kopperlingk (noto con il nome latinizzato di Copernico), Johannes Keplero e Galileo Galilei.

 Sia i capi religiosi cattolici che i filosofi del medioevo avevano sostenuto un sistema di concezione dell’universo basandosi sull’opera Almagesto compilata attorno al 150 d.C. da Claudio Tolomeo (interpretazione basata sulle idee di Aristotele e nota col nome di sistema tolemaico), secondo il quale la Terra occupava il centro dell’universo e tutti gli astri (Luna, pianeti, stelle) vi giravano attorno (geocentrismo). A rivoluzionare questa concezione, ritenuta valida per quasi 17 secoli, arrivarono le strane (per quei tempi) teorie del polacco Copernico. Egli pubblicò nel 1543 l’opera De Revolutionibus Orbium Coelestium, nella quale riassunse anni di pazienti e continui studi. Copernico aveva intuito che la Terra non era quel pianeta privilegiato che si credeva, non era il centro dell’universo attorno al quale pure il Sole girava; piuttosto era il Sole l’astro attorno a cui la Terra ruotava (eliocentrismo). Per queste sue idee rivoluzionarie Copernico, pur non intraprendendo una battaglia personale contro la Chiesa di Roma, fu continuamente osteggiato dagli altri scienziati del suo tempo, fino alla morte avvenuta il 24 maggio 1543.

 Uguale sorte toccò nel 1600 al tedesco Johannes Keplero, sostenitore delle teorie di Copernico. Basandosi su misurazioni  eseguite dal danese Tycho Brahe (detto anche Ticone), Keplero formulò le tre leggi sul moto dei pianeti che furono racchiuse nel libro Harmonices Mundi. Tale opera fu pubblicata in piena bufera antigalileiana, per cui toccò a Keplero, già minato nel fisico (morì di malattia a Ratisbona nel 1630), una scomunica da parte del Concistoro di Stoccarda. Comunque, prima della sua morte, dall’Italia gli era giunta la parola amichevole e la stima dell’insigne pisano Galileo Galilei che, purtroppo, non ebbe vita più semplice della sua.

 Galileo Galilei, com’è noto, utilizzò il primo cannocchiale e con esso scoprì quattro satelliti di Giove, le fasi di Venere e le macchie solari. Pubblicò tali scoperte nel suo primo libro, il Sidereus Nuncius (Avviso Sidereo). Nel 1611 fu convocato a Roma, dove presentò le sue scoperte ai gesuiti del Collegio Romano. Questi lo onorarono con una conferenza in cui riconoscevano le sue scoperte. Prima che Galileo lasciasse Roma, un potente gesuita, il cardinale Bellarmino, fece investigare i suoi insegnamenti. Galileo credeva che la creazione è governata da leggi che gli uomini possono imparare mediante lo studio; la Chiesa Cattolica era contraria a questo punto di vista. Persino alcuni astronomi obiettarono alle idee di Galileo. Secondo questi era impossibile che il telescopio migliorasse la realtà, per cui l’invenzione era un imbroglio. Un sacerdote arrivò al punto di insinuare che le stelle erano state inserite nella lente! Quando Galileo scoprì le montuosità della Luna, confermando che i corpi celesti non erano sfere perfette, il sacerdote Clavio ribatté che la Luna era rivestita di una sostanza cristallina, così che anche se attraverso questa sostanza si potevano vedere i monti, era comunque una sfera perfetta! «Veramente l’immaginazione è bella» ─ rispose Galileo ─ «solo gli manca il non esser né dimostrata né dimostrabile».

L’interesse di Galileo nel voler leggere il “libro della Natura”, come egli chiamava lo studio della creazione, gli fece conoscere l’opera di Copernico, opera che verificò con le sue osservazioni, e per le quali si mise in urto con l’ambiente scientifico, politico e religioso del suo tempo. Anche se la Chiesa Cattolica usava l’astronomia copernicana per stabilire date, come quelle della Pasqua, le idee copernicane non erano state accettate ufficialmente. Diversi scienziati in tutta Europa lavoravano indipendentemente per trovare conferme al sistema copernicano, ma si accontentavano di discuterne a livello accademico. Per tali motivi la Chiesa di Roma li lasciava fare. Galileo, invece, non scriveva in latino (la lingua accademica ufficiale), bensì nell’italiano della gente comune, e in questo modo le sue scoperte si diffusero anche presso il popolo. A questo punto il clero ritenne che egli stesse sfidando non solo loro ma anche la parola di Dio. Nel 1616, convocato a Roma, Galileo  fu costretto ad abiurare le sue idee di sostegno all’eliocentrismo. Dopo 16 anni di relativo silenzio, però, Galileo pubblicò l’opera Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (1632) dove, sotto forma di una conversazione tra alcuni personaggi, tra l’ironico e il derisorio, presentava argomentazioni molto convincenti a favore di Copernico. Per questo Galileo, ormai settantenne e malato, fu chiamato nel 1633 a comparire una seconda volta davanti al Tribunale della Santa Inquisizione. Sottoposto a duri interrogatori, fu giudicato colpevole e costretto a ritrattare le sue idee. In ginocchio giurò: «Abiuro…li suddetti errori ed eresie...giuro che per l’avvenire non dirò mai più…cose tali per le quali si possa aver di me simil sospizione». È interessante notare che, secondo la leggenda, una volta alzatosi in piedi, colpì la terra, e mormorò la celebre frase: «Eppur si muove!».

Galileo trascorse agli arresti domiciliari il resto della sua vita, spegnendosi nel 1642, consolato solo dall’affetto di pochissimi discepoli.
 

 5.      La Bibbia come libro poetico, ma non solo.

 Naturalmente, scoprire dei fatti dell’universo non significa affatto sfidare le Sacre Scritture, anche se gli avvenimenti accaduti agli astronomi del passato hanno contribuito a gettare una luce sinistra su di esse. Chi la studia attentamente si rende conto che la Bibbia non è un manuale scientifico, pur essendo accurata quando menziona argomenti scientifici. Essa fu scritta per l’edificazione spirituale dei credenti, non per insegnare loro la fisica o qualche altra scienza della natura. Galileo era d’accordo con questo. Quando le sue scoperte scientifiche contraddissero l’invalsa interpretazione di certi versetti biblici, Galileo concluse che i teologi non afferravano il vero senso di quei passi. Per lui esistevano due tipi di linguaggio: i termini rigorosi della scienza e il parlare comune degli scrittori ispirati. Galileo scrisse che “nelle Scritture, per accomodarsi all’intendimento universale” era stato necessario “dir molte cose diverse in aspetto e quanto al significato delle parole, dal vero assoluto”. Secondo Galileo la Bibbia non era in contrasto con la verità scientifica. Non aveva bisogno di revisioni. Il problema nasceva dall’errata interpretazione che la Chiesa di Roma dava della Bibbia. Nel suo libro Galileo Galilei, lo storico della filosofia Ludovico Geymonat, ha osservato: “I teologi di mentalità troppo ristretta, i quali vogliono fondarsi sul discorso biblico per porre dei limiti alla scienza, non fanno che gettare discredito sulla Bibbia stessa”.

Insomma, la Bibbia non è in contrapposizione alla scienza ma spesso usa un linguaggio poetico che rispecchia la percezione puramente soggettiva del credente e che quindi in tal modo va interpretata. L’idea che la Terra fosse il centro dell’universo, sostenuto dalla Chiesa, si basava su un’interpretazione letterale di alcuni brani scritturali come ad esempio quello di Salmo 104 : 5, che descriveva la Terra come ben fondata “sulle sue basi, sicché non vacillerà mai in eterno” (Pontificio Istituto Biblico). Altri passi biblici in cui questo stile è evidente sono riportati nel libro di Giobbe.

  Giobbe  37 : 18. 
“Puoi tu battere con Lui i cieli nuvolosi,

duri
come uno specchio di metallo fuso ?”

 Questo versetto descrive poeticamente i cieli come uno specchio di metallo fuso che ha un riflesso luminoso; chiaramente un significato simbolico.

 Giobbe  38 : 4 - 8. 

Dov’eri tu quando io fondai la terra?
. Chi ne dispose le misure ..
O chi stese su di essa la corda per misurare?
In che cosa sono stati affondati i suoi piedistalli con incastro,

o
chi ne pose la pietra angolare,
quando
le stelle del mattino gridarono gioiosamente insieme,
e
tutti i figli di Dio emettevano urla di applauso?
E chi barricò con porte il mare… quando misi la nuvola come sua veste
?”

In questi versetti si parla di “piedistalli” e della “pietra angolare” della Terra. Alcuni hanno usato erroneamente questo passo per dimostrare che la Terra è immobile. Espressioni come queste non si propongono di descrivere scientificamente la struttura della Terra, ma piuttosto paragonano poeticamente la creazione della Terra alla costruzione di un edificio, di cui Dio è il Grande Artefice o Grande Costruttore. Stabilire questo è importante perché numerosi commentatori hanno preso queste illustrazioni alla lettera.

 Lo stesso Talmud mostra di subire influenze di questo genere. Le concezioni in esso esposte hanno un loro sapore particolare, ma rimangono nulla più che una serie di teorie speculative e fantastiche. La somma di esse viene generalmente rappresentata come nella figura seguente:

             La volta celeste è considerata come una sfera concava che copre la Terra e consta di una lastra forte e salda dello spessore di due o tre dita che è sempre splendente e non si offusca mai. Secondo un Dottore della Mishnàh, il diametro di questa lastra è un sesto del percorso giornaliero del Sole. Cielo e Terra si toccano l’uno con l’altro sulla linea dell’orizzonte. La Terra posa sull’acqua e ne è circondata. Parallela a questa massa d’acqua inferiore ve n’è una seconda, pure sconfinata, in cielo, da cui scende l’acqua in forma di pioggia attraverso buchi e canali che perforano il serbatoio celeste. Secondo altre versioni, la Terra è sostenuta da uno, sette o dodici pilastri. Questi stanno sull’acqua, l’acqua su montagne, le montagne sul vento ed il vento sopra la tempesta. Si crede che il Sole abbia 365 finestre celesti, attraverso le quali appare: 182  sono ad est, 182 ad ovest e una nel mezzo, luogo della sua prima apparizione. Il Sole, inoltre, completerebbe il suo cammino in 12 mesi; Giove in 12 anni; Saturno in 30; Venere e Marte in 480.

             Eppure, dall’inizio della storia ebraica fino alla distruzione di Gerusalemme da parte di Nabucodonosor (607 a.C. circa) non si trova menzione di nessuna idea del genere presso gli Israeliti. Solo dopo l’esilio a Babilonia, si ritrova nella cultura ebraica un’eco dei potenti sentimenti idolatrici rivolti agli astri che permeava la vita religiosa di tutti i popoli della valle del Tigri e dell’Eufrate, con cui gli Ebrei avevano dovuto forzatamente convivere per circa 70 anni, e le cui concezioni cosmologiche influenzeranno in parte il Talmud. Anche l’astrologia, proibita dalla legge data a Mosè, verrà in seguito introdotta nella cultura ebraica attraverso il sincretismo greco. Per questi motivi, si ritengono le idee cosmologiche esposte in precedenza, non il frutto delle concezioni bibliche riportate nelle Scritture Ebraiche, ma un coacervo di speculazioni provenienti dalla cultura assiro-babilonese e da quella greca, idee che permeeranno anche le concezioni cosmologiche medioevali.

 “Simili descrizioni dell’universo ebraico sono in realtà basate più sulle idee prevalenti in Europa durante il Medioevo che su effettive dichiarazioni dell’Antico Testamento” (International Standard Bible Encyclopaedia).

 

 “Queste descrizioni si basavano in gran parte sulla cosmologia del filosofo greco Aristotele, le cui opere erano la base di gran parte del sapere medievale”

(David C. Lindberg – The Beginnings of Western Science)

 Come si è visto in precedenza, quindi, le Scritture Ebraiche non vanno intese come se fossero un manuale scientifico, ma è anche vero che in esse vengono riportate delle nozioni che non solo sono scientificamente accurate, ma anche diametralmente opposte alle opinioni ritenute valide in quei tempi. Questo vale non solo per l’astronomia, ma anche per la scienza medica o per le scienze naturali in genere. La legge mosaica (XVI secolo a.C. circa) conteneva ad esempio delle elevate norme sanitarie che precorrevano di molto i tempi e che salvaguardavano il popolo d’Israele dalla diffusione di malattie infettive. Non sorprende quindi che Mosè potesse affermare che in genere gli israeliti dei suoi giorni vivevano 70 o 80 anni (Salmo 90 : 10). In questa legge si affronta per la prima volta il tema della “quarantena”, l’isolamento a cui veniva sottoposto un individuo sospettato di avere una qualche malattia contagiosa (Levitico 13 : 1-5). Gli abiti o i recipienti che venivano a contatto con un animale morto da sé, forse per malattia, andavano lavati prima di essere usati di nuovo, oppure distrutti (Levitico 11 : 27, 28, 32, 33). Chiunque avesse toccato un cadavere doveva essere considerato impuro e doveva sottoporsi ad un procedimento di purificazione che includeva il lavare i propri abiti e fare il bagno. Durante questo periodo di impurità di sette giorni, doveva evitare qualsiasi contatto fisico con altri (Numeri 19 : 1-13). Una legge relativa agli accampamenti militari richiedeva che si seppellissero gli escrementi lontano dal campo (Deuteronomio 23 : 13); questa misura preventiva estremamente progredita aiutava a mantenere l’acqua incontaminata e proteggeva dalla shigellosi, trasmessa dalle mosche, e da altre malattie diarroiche che ancora oggi fanno milioni di vittime in quei Paesi con scarse condizioni igienico-sanitarie. Nell’ambito dell’igiene personale era anche inserita la pratica della circoncisione (l’asportazione del prepuzio del pene), che veniva eseguita su tutti i bambini maschi all’ottavo giorno dalla loro nascita[11] (Genesi 17:12; Levitico 12:2, 3).  

All’epoca in cui fu scritta la legge mosaica, non si aveva alcuna idea di come si diffondessero le malattie, né ci si rendeva conto dell’importanza dell’igiene per prevenirle. Solo i progressi fatti in campo medico nel XIX secolo portarono all’introduzione dell’antisepsi, la sterilizzazione per ridurre le infezioni. Uno dei più antichi testi di medicina pervenutici è il “papiro di Ebers”, compendio della scienza medica egiziana, che risale al 1550 a.C. circa, proprio il periodo in cui fu stilata la legge mosaica. In questo rotolo sono contenuti pressappoco 700 rimedi per curare vari mali che vanno dal morso di coccodrillo all’unghia incarnita dell’alluce. Da esso emerge un quadro inquietante delle conoscenze mediche egiziane che si riducevano a delle nozioni puramente empiriche, in gran parte basate sulla magia; la grande maggioranza dei rimedi non solo risultavano inefficaci, ma alcuni erano estremamente pericolosi. Per curare le cicatrici che rimangono dopo la caduta della crosta, raccomandava un impiastro di escrementi umani e latte fresco. E come rimedio per estrarre le schegge prescriveva: “Sangue di vermi, cotto e schiacciato in olio; talpa, uccisa, cotta e messa sott’olio; sterco d’asino, mischiato a latte fresco. Applicare sulla ferita aperta.[12] Questo trattamento, come ora ben sappiamo, poteva dar luogo a gravi infezioni.

 Lungi dal prescrivere trattamenti sanitari a base di escrementi, la legge mosaica dava istruzioni su come eliminarli igienicamente. Fino al secolo scorso, il pericolo derivante dal lasciare gli escrementi esposti alle mosche non era generalmente compreso. Eppure il semplice rimedio era scritto da secoli lì nella Bibbia, e gli israeliti lo applicavano più di tremila anni fa. Ora, se coloro che scrissero la Bibbia avessero avvallato le più diffuse idee e concezioni della loro epoca, il risultato sarebbe stato un libro colmo di madornali inesattezze scientifiche. Ma al contrario, in essa sono riportate diverse dichiarazioni che ne fanno un libro estremamente peculiare, come pure peculiari dovevano essere, di conseguenza, le conoscenze dell’antico popolo ebraico.

  

6.      Il cielo, il calendario e le feste ebraiche.

 L’elevata teologia monoteistica ebraica ha lottato vigorosamente contro l’estendersi del culto degli astri, che era considerato il nemico più pericoloso e corrompente per la religione ebraica. Nelle Scritture Ebraiche le costellazioni, i pianeti e le stelle vengono ammirati e lodati, ma sempre senza alcun privilegio o prerogativa. Essi non hanno alcuna interferenza sugli accadimenti umani. Lo spettacolo imponente dei cieli stellati, con i loro potenti effetti di luce che circondano l’intero globo, serve unicamente ad esaltare la gloria di Dio. Gli astri non sono nulla, poiché derivano semplicemente la loro forza e la loro sostanza dall’Ente Supremo che li ha creati. Tali sentimenti sono ben espressi dalle parole attribuite al re Davide riportate nel libro dei Salmi.

   Salmo 8 : 1 - 9

“ Oh Jahveh nostro Signore,

 com’è maestoso il tuo nome su tutta la terra,
Tu, la cui dignità si narra al di sopra dei cieli...
...Quando vedo i tuoi cieli, le opere delle tue dita,

la
luna e le stelle che Tu hai preparato,

Che cos’è l’uomo mortale che Tu ti ricordi di lui,

e
il figlio dell’uomo terreno che Tu ne abbia cura?

...Oh Jahveh nostro Signore,
 com’è maestoso il tuo nome su tutta la terra.”

 L’astrolatria, cioè il culto rivolto agli astri, praticata dagli Egiziani e dagli Assiro-Babilonesi, con cui gli ebrei vennero a contatto, è menzionata come un pensiero altamente sacrilego, da cui rifuggire. L’astrologia faceva parte di queste pratiche detestabili. La stessa legge mosaica metteva in guardia da queste pratiche idolatriche e ammoniva severamente il credente:

Deuteronomio  4 : 15 - 19

 “ E dovete badare bene alle vostre anime,...
...affinché non agiate rovinosamente e non vi facciate

realmente
una immagine scolpita, la forma di un qualche simbolo,
la
rappresentazione di maschio e femmina,...

... la rappresentazione di qualunque cosa che si muove sul suolo,...
...e affinché non alzi i tuoi occhi ai cieli,

e
sia realmente sedotto e ti inchini davanti ad essi e li serva,
essi
, che Jahveh tuo Dio ha ripartito a tutti i popoli sotto tutti i cieli. ” 

            Nonostante tali ammonimenti i re di Giuda finirono col passare del tempo per cedere alle detestabili pratiche astroreligiose dei popoli vicini, adorando il Sole e i pianeti, sacrificandovi con tutta probabilità anche vittime innocenti. Questi possono essere ben rappresentati dai  venticinque uomini della visione del profeta Ezechiele, i quali voltavano le spalle al tempio di Dio ed erano rivolti verso est, inchinandosi in adorazione verso il Sole nascente.

Ezechiele  8 : 16 - 18

 “ Mi portò all’ingresso della porta della casa di Jahveh, che è verso nord
ed
ecco, lì sedevano le donne, piangendo sul [dio] Tammuz.[13]
...Mi portò dunque nel cortile interno della casa di Jahveh,

ed
ecco, all’ingresso del tempio, fra il portico e l’altare, c’erano circa venticinque uomini
col
dorso verso il tempio e la faccia verso est, e s’inchinavano verso est, al Sole.
Egli dunque mi disse:
« L’errore della casa di Israele e di Giuda è molto grande,
e
il paese è pieno di spargimento di sangue e la città è piena di perversità.
E in quanto a me ... non mostrerò compassione. Recherò la loro via sulla loro propria testa.
»

Nei testi sumerici il dio Tammuz, che è chiamato anche Dumuzi, è identificato come consorte o amante della dea della fertilità Inanna (la Ishtar o Astarte babilonese, simboleggiata dal pianeta Venere). Alcune leggende di origine sumera associano la morte prematura di Tammuz alla mietitura: recidendo la spiga matura si rievocava la morte del dio. Secondo l’Encyclopædia Britannica, molte usanze legate a queste festività derivano dalla “credenza animistica dello spirito del grano o madre del grano”. In certe zone i contadini credevano che nell’ultimo covone mietuto si annidasse uno spirito. Per scacciarlo, battevano il covone con bastoni finché i chicchi cadevano al suolo. Altrove con le spighe si faceva una bambola, che si conservava come portafortuna fino alla semina successiva. Poi le spighe venivano sotterrate come rito propiziatorio per il nuovo raccolto. Altre leggende ancora mettevano in relazione il tempo della mietitura con i sacrifici umani, pratica detestabile all’Iddio della Bibbia.

Geremia  7 : 30, 31

« Poiché i figli di Giuda hanno fatto ciò che è male ai miei occhi » ─ è l’espressione di Jahveh.
« Hanno messo le loro cose disgustanti nella casa

sulla
quale è stato invocato il mio nome, per contaminarla.

E hanno edificato gli alti luoghi di Tofet per bruciare i loro figli e le loro figlie nel fuoco,

cosa
che Io non avevo comandato e che non mi era salita in cuore ».”

I profeti ribadiscono con la loro ardente eloquenza la punizione che Dio farà ricadere sui re di Giuda e sui loro sudditi, astrolatri, nel giorno della sua collera. Quegli stessi astri che hanno adorato saranno testimoni della loro distruzione.

 Geremia  8 : 1, 2

« In quel tempo » ─ è l’espressione di Jahveh ─
« estrarranno dai loro sepolcri le ossa dei re di Giuda e le ossa dei suoi principi
 e le ossa dei sacerdoti...e le ossa degli abitanti di Gerusalemme.
E in effetti le spargeranno al sole e alla luna e a tutto l’esercito dei cieli

che
essi hanno amato e che hanno servito
e
dietro a cui hanno camminato e davanti a cui si sono inchinati.
Non saranno raccolte, né sepolte. Diverranno come letame sulla faccia del suolo
».

Se queste, come abbiamo visto, furono le conseguenze dei contatti culturali dell’antico Israele con i popoli vicini, in origine non fu così. Non si ha menzione di alcuna scoperta astronomica fatta dagli Ebrei, né particolari strumenti astronomici sono menzionati nella Bibbia o nel Talmud. L’ammirazione della volta stellata e dei suoi fenomeni celesti era unicamente incentrata sull’adorazione di Colui che l’aveva creata. Per tale motivo il calendario, ma soprattutto le antiche festività ebraiche, non rivelano alcuna particolare relazione con i solstizi o con gli equinozi, tipici invece delle civiltà megalitiche.

 Il calendario in uso presso gli Ebrei era in pratica un calendario lunisolare. Esso era basato sulle lunazioni (da Luna nuova a Luna nuova), della durata di 29 giorni, 12 ore e 44 minuti. Infatti la parola ebraica chòdhesh, tradotta “mese” (Genesi 7 : 11) o “Luna nuova” (I Samuele 20 : 27) è affine al termine chadhàsh, che significa “nuovo”. Un’altra parola per indicare il “mese lunare” è yèrach (letteralmente “lunazione”, I Re 6 : 38). Ogni mese era composto quindi da 29 o 30 giorni, e il giorno andava dal tramonto del Sole al tramonto del giorno successivo.

 Un tale anno di 12 mesi lunari ha circa 11 giorni in meno di un anno solare, per cui in certi anni, veniva inserito un mese in più per colmare la differenza. La prima documentazione di questo mese intercalare risale al 359 d.C. per opera di Hillel il Giovane, il quale precisò che in ogni periodo di 19 anni, gli anni con tredici mesi dovevano essere il 3°, il 6°, l’8°, l’11°, il 14°, il 17° e il 19°. Questo ciclo (ciclo metonico) tiene conto del fatto che ogni 19 anni ciascuna Luna nuova e ciascuna Luna piena cade nuovamente nello stesso giorno dell’anno solare.

 Nelle Scritture Ebraiche i singoli mesi sono generalmente designati col numero ordinale (dal 1° al 12°) in base alla posizione da loro occupata nel corso dell’anno. Prima dell’esilio a Babilonia vengono nominati per nome solo quattro mesi: abib, il primo mese (Esodo 13 : 4); ziv, il secondo (I Re 6 : 37); etanim, il settimo (I Re 8 : 2); bul, l’ottavo (I Re 6 : 38). Il significato di questi nomi è prettamente stagionale, a ulteriore conferma dell’uso di un anno lunisolare. In epoca postesilica gli Israeliti chiamarono i mesi con i nomi usati a Babilonia. Di sette di essi è fatta menzione: nisan (anziché abib) il primo mese (Ester 3 : 7); sivan, il terzo mese (Ester 8 : 9); elul, il sesto (Neemia 6 : 15); chislev, il nono (Zaccaria 7 : 1); tebet, il decimo (Ester 2 : 16); sebat, l’undicesimo (Zaccaria 1 : 7); adar, il dodicesimo (Esdra 6 : 15). I nomi postesilici dei restanti cinque mesi si rilevano dal Talmud e da altre opere ebraiche: iyyar, il secondo; tammuz, (nome dello stesso dio Tammuz adorato dai Babilonesi) il quarto mese; ab, il quinto; tishri, il settimo; heshvan, l’ottavo. Il tredicesimo mese, quello intercalare, era chiamato veadar, che significa “secondo adar”, poiché veniva dopo il dodicesimo mese (adar). Cinque mesi avevano 30 giorni ciascuno; quattro mesi ne avevano 29. I restanti tre potevano avere indifferentemente 29 o 30 giorni; questo permetteva sia di apportare i necessari aggiustamenti al calendario lunare sia di impedire che certe feste cadessero in giorni giudicati inopportuni dai capi religiosi ebrei.

Gli Ebrei avevano due calendari: quello sacro e quello secolare (o agricolo). L’anno sacro cominciava in primavera, col mese di abib (o nisan), secondo quanto stabilito da Dio all’epoca dell’esodo dall’Egitto (Esodo 12 : 2; Esodo 13 : 4). Ma in precedenza gli Ebrei contavano gli anni da un autunno all’altro, a iniziare dal mese di tishri. Tale abitudine perdurò anche dopo l’esilio a Babilonia e tutt’ora il capodanno ebraico (Rosh ha-Shanàh, capo dell’anno) si celebra il primo giorno di questo mese.

 Nel 1908 fu scoperto presso Ghezer l’unico esemplare di una specie di antico calendario ebraico, che si ritiene risalga al X secolo a.C. Si tratta di un calendario secolare e descrive le attività agricole a partire dall’autunno. Menziona in breve due mesi per conservare, due per seminare e due per la crescita primaverile, seguiti da un mese per la raccolta del lino, uno per la raccolta dell’orzo e uno per la mietitura in generale, quindi due mesi per sfrondare le viti e infine un mese per la frutta estiva.

 Nella tabella seguente sono riassunti i due tipi di calendario, quello sacro e quello secolare o agricolo. I nomi dei mesi rilevati dal Talmud e da altre opere sono in corsivo, gli altri sono invece quelli menzionati nella Bibbia. Ad ogni mese sono associate la durata, il periodo corrispondente del calendario attuale, il clima e le principali attività agricole correlate. 

 

Calendario  Ebraico

Mese sacro

Mese

secolare

Nome

preesilico

Nome

postesilico

Durata

(giorni)

Periodo

Clima

Attività agricole

Raccolti

 

10°

11°

12°

 

10°

11°

12°

 

abib

ziv

 

 

 

 

etanim

bul

 

 

 

 

 

nisan

iyyar

sivan

tammuz

ab

elul

tishri

heshvan

chislev

tebet

sebat

adar

 

30

29

30

29

30

29

30

29-30

29-30

29

30

29-30

 

mar-apr

apr-mag

mag-giu

giu-lug

lug-ago

ago-set

set-ott

ott-nov

nov-dic

dic-gen

gen-feb

feb-mar

 

Piogge e disgelo

Stagione asciutta

Temperatura estiva

Il caldo aumenta

Caldo al massimo

Il caldo continua

Fine dell’estate

Prime piogge

Piogge, neve sui monti

Freddo al massimo

Freddo si attenua

Temporali, grandine

 

lino, orzo

orzo, frumento

frumento mele fichi

prima uva

vendemmia

datteri, fichi estivi

fine raccolta, aratura

raccolta olive, semina

cresce l’erba

crescono grano e fiori

mandorli in fiore

raccolta agrumi

 

13°

 

13°

 

 

 

 

 

veadar

 

 

29-30

 

 

Il tredicesimo mese, o mese intercalare, veniva inserito dietro il mese di adar, con la cadenza di sette volte nel- l’arco di 19 anni.

I frequenti riferimenti contenuti nei Vangeli e nel libro degli Atti (Nuovo Testamento) alle varie feste stagionali, mostrano che il calendario ebraico era ancora in uso presso gli Ebrei al tempo di Gesù Cristo e degli apostoli. Queste feste sono utili per determinare indirettamente il tempo in cui si verificarono gli avvenimenti biblici di quei giorni.

 Le feste celebrate dal popolo di Israele erano essenzialmente tre. I loro precetti e le loro modalità, definiti da Dio stesso tramite Mosè, sono riportati nel libro di Deuteronomio, databile attorno XV secolo a.C. e attribuito allo stesso Mosè.

 Deuteronomio 16 : 16, 17

 “ Tre volte l’anno ogni tuo maschio deve presentarsi dinanzi a Geova tuo Dio
nel
luogo che Egli sceglierà: nella festa dei pani non fermentati e
nella
festa delle settimane e nella festa delle capanne,
e
nessuno deve presentarsi dinanzi a Geova a mani vuote.

Il dono della mano di ciascuno dev’essere in proporzione

alla
benedizione di Geova tuo Dio che Egli ti ha dato.

 Vivendo in una società agricola, gli Israeliti dipendevano dalla benedizione divina sotto forma di pioggia. Le tre grandi feste comandate dalla Legge mosaica coincidevano con la mietitura dell’orzo all’inizio della primavera, con quella del frumento nella tarda primavera e col resto del raccolto a fine estate. Erano occasioni di grande allegrezza, in cui dimostrare gratitudine a Dio, il quale assicurava il perpetuarsi del ciclo della pioggia e che aveva creato il Paese produttivo, dove simbolicamente scorreva “il latte e il miele”. Esse si celebravano con sacrifici animali, grandi banchetti e particolari manifestazioni a favore di Dio.

 La prima festa si celebrava dal 15° al 21° giorno del mese di nisan (o abib), che corrispondeva alla fine di marzo o ai primi di aprile del nostro calendario. Era chiamata “Festa dei pani non fermentati” e, dato che veniva immediatamente dopo la Pasqua del 14 nisan, era anche chiamata “Festa della Pasqua” (Luca 2 : 41; Levitico 23 : 5, 6). Essa rammentava agli Israeliti la liberazione dall’afflizione della schiavitù in Egitto. Ricordava loro che avevano dovuto lasciare l’Egitto talmente in fretta da non avere avuto neanche il tempo di mettere il lievito nella pasta per il pane e aspettare che questa fermentasse (Esodo 12 : 34). Durante questa festa in nessuna casa doveva esserci pane lievitato, pena la morte (Esodo 12 : 17 – 19).

 La seconda festa si celebrava sette settimane (cioè 49 giorni) dopo il 16 nisan e cadeva il 6° giorno del terzo mese, sivan, corrispondente a fine maggio nel nostro calendario (Levitico 23 : 15, 16). Era chiamata festa delle settimane, e ai giorni di Gesù prese il nome di Pentecoste (che in greco significa “cinquantesimo [giorno]”). Essa cadeva all’incirca nello stesso periodo dell’anno in cui Israele era entrato nel patto della Legge mosaica al monte Sinai. Durante questa festa gli Israeliti dovevano riflettere sul privilegio accordato loro da Dio, che li aveva scegli di fra tutti i popoli per essere una nazione eletta. In questa veste erano tenuti ad ubbidire alla legge di Dio, compreso il comando di prendersi cura dei bisognosi e degli afflitti, affinché anch’essi potessero godersi questa celebrazione (Levitico 23 : 22; Deuteronomio 16 : 10 –12).

 L’ultima delle tre grandi feste annuali era la festa delle capanne o festa della raccolta (o anche “festa dei tabernacoli”). Veniva celebrata dal 15° al 21° giorno del settimo mese, tishri (o etanim), corrispondente ai primi di ottobre del calendario attuale (Levitico 23 : 34), cui seguiva una solenne assemblea il ventiduesimo giorno. Durante questa settimana gli Israeliti dovevano dimorare fuori casa o sulle terrazze, in alloggi provvisori (capanne) fatti di rami e fronde. Questo doveva rammentare loro il viaggio di 40 anni nel deserto, dall’Egitto alla Terra Promessa (Canaan), quando avevano dovuto imparare a confidare in Dio perché provvedesse loro il sostentamento quotidiano (Levitico 23 : 42, 43; Deuteronomio 8 : 15, 16). Si chiamava anche festa della raccolta, poiché si celebrava la finale mietitura di tutte le messi. Una caratteristica di tale festa è che venivano agitati rami di palma. Le tre feste possono essere riassunte nello schema sottostante. 

 Festa

 Mese ebraico

 Periodo

 Durata

 Celebrazioni

 Pani non fermentati

 

 

 15-21 Nisan
(1° mese)

 fine marzo -
inizio
aprile

 7 gg.

 Veniva dopo la Pasqua
(14 Nisan). Ricordava la frettolosa uscita dall’Egitto che non aveva permesso loro di far lievitare il pane

 Festa delle settimane

(Pentecoste)

 

 49 gg. dopo il
16 Nisan, cioè il
6° giorno
del
3° mese
, Sivan

 fine maggio

 1 giorno

 Cadeva nello stesso periodo dell’anno in cui Israele era entrato nel patto della Legge al monte Sinai

 

Festa della raccolta
Festa delle capanne
(Festa dei tabernacoli) 

 15-21 Tishri o Etanim

(7° mese)

 

primi di ottobre

 

7 gg.

 Ricordava i 40 anni passati nel deserto, durante i quali erano stati sostenuti da Dio mediante la manna

 7.      I misteriosi fenomeni solari del testo biblico.

 Non appena le idee geocentristiche di Copernico divennero note nel mondo degli studiosi, Martin Lutero, padre della riforma protestante, disse: «Questo pazzo (Copernico) pretende di capovolgere la scienza, vuole addirittura dimostrare che la Terra si muove e gira al posto del Sole ma, come dicono le Sacre Scritture, fu al Sole e non alla Terra che Giosuè comandò di fermarsi!».

 Lutero basava la sua affermazione sul racconto biblico di Giosuè ai capitoli 9 e 10, dove viene narrato quello che potremmo definire il fenomeno solare di Gabaon. Nel capitolo 9 di Giosuè viene descritto come una delle tribù cananee, i gabaoniti, saputo della caduta della città di Gerico nelle mani degli Israeliti, vanno incontro a qust’ultimi e, con l’astuzia (facendosi passare per una tribù nomade proveniente da molto lontano), intrattengono con loro rapporti pacifici. Giosuè, pertanto, promette di proteggerli (Giosuè 9 : 3 – 13). Saputo dell’accordo stipulato, cinque re di Canaan attaccano la città di Gabaon, rea secondo loro di essere passata al nemico. A questo punto Giosuè conduce gli Israeliti in difesa degli alleati gabaoniti, intraprendendo una sanguinosissima battaglia contro i cinque re cananei (Giosuè 10 : 1 – 5). In ciò, secondo le Sacre Scritture, l’aiuta l’intervento divino. Jahvèh scaglia sugli eserciti nemici grandine grossa come pietre (Giosuè 10 : 11), ma è a questo punto che Giosuè, affinché la vittoria fosse completata prima dell’arrivo delle tenebre, chiese al Sole di fermarsi.

 Giosuè 10 : 12 - 14

 “ Fu allora che Giosuè parlava a Jahveh...e diceva davanti agli occhi d’Israele:
«Sole, resta immoto su Gabaon, e Luna, sul bassopiano di Aialon»
...E il Sole restava fermo in mezzo ai cieli

e
non si affrettò a tramontare per circa un giorno intero.

E nessun giorno è stato come quello, né prima né dopo,

...poiché Jahveh stesso combatteva per Israele.

 Tralasciando ora la miracolosità dell’accaduto, come si può spiegare questa affermazione alla luce delle nostre conoscenze scientifiche? Certo bisogna comprendere che la Bibbia fu scritta in origine a favore del popolo ebraico, che in quel particolare tempo era un popolo prevalentemente nomade; quindi non bisogna pensare alla Bibbia come ad un libro scientifico, ma come ad un libro scritto in termini tali che tutte le persone, illetterate o colte che fossero, potessero trarre beneficio dalla legge di Dio in essa contenuta. Nel caso specifico su menzionato, ad un nomade o a un agricoltore era inutile spiegare le teorie astronomiche sul moto dei pianeti attorno al Sole. Giosuè quindi indica il moto apparente del Sole come farebbe un qualsiasi osservatore che si trovi sulla Terra e al quale sembra che sia il Sole a solcare il cielo. Del resto anche noi, nel linguaggio corrente, diciamo che il Sole sorge o che il Sole tramonta, esprimendo così le nostre impressioni dovute alla nostra posizione sulla Terra. Se fossimo sulla Luna vedremmo un moto apparente della Terra tale da far pensare che sia la Terra a girare attorno alla Luna. Con questo però, nessuno di noi si sognerebbe di mettere in dubbio le scoperte di Copernico.

 Ma quello di Gabaon non è l’unico fenomeno solare descritto dalla Bibbia. C’è, ad esempio, anche il fenomeno del re Ezechia, riportato nel secondo libro dei Re. In esso viene narrato come Ezechia, ammalatosi fino al punto di morire, prega Jahvèh perché lo salvi (II Re 20 : 1). Dio manda il profeta Isaia ad annunciare al re che non morirà e che gli sono stati aggiunti 15 anni di vita (II Re 20 : 4 – 6). A riprova di ciò, Dio dà al re un segno: l’ombra del Sole che si avvia al tramonto, invece di avanzare sui gradini del palazzo reale (fatto costruire dal re Acaz, suo predecessore), torna indietro di 10 scalini.

 II Re  20 : 8 - 11

 “ Allora Isaia il profeta invocava Jahvèh;
e
l’ombra che era scesa egli la fece tornare gradualmente indietro sui gradini,
cioè
sui gradini della scala di Acaz, dieci gradini indietro.”

 In questo caso il fenomeno, a differenza di quello precedente, è spiegabile ammettendo la presenza di uno strato di aria calda che deflette l’immagine solare, un pò come accade nei miraggi nel deserto.

 8.      La cosmologia dell’Antico Testamento.

 Abbiamo visto in precedenza che nelle Scritture Ebraiche sono riportate delle nozioni scientificamente accurate che in alcuni casi hanno precorso i tempi di vari secoli. Ciò vale non solo per la scienza medica o per le scienze naturali in genere (come abbiamo visto in precedenza), ma anche per l’astronomia. Queste dichiarazioni ne fanno un libro peculiare se si considera che molte di queste opinioni sono diametralmente opposte a quelle ritenute valide per quei tempi e per molti secoli a seguire. Vediamone alcune.

 8.1       Il firmamento.

 Le concezioni scientifiche sulla struttura del cielo si rifanno in genere alle speculazioni della filosofia greca. Aristotele (384-322 a.C.) credeva che le stelle fossero fissate nella volta celeste come chiodi. A tale veduta si rifà il termine ancora oggi usato: “firmamento”. Esso deriva dal latino firmare, che significa rendere fermo, solido, consistente. Girolamo, uno degli artefici della Vulgata (una delle prime traduzioni delle Sacre Scritture in latino) usa questo termine per descrivere la volta celeste. Una precedente versione in lingua greca, la Settanta, influenzata anch’essa dai concetti cosmologici prevalenti a quel tempo, usa invece il termine stereoma, che dà l’idea di una volta solida. Queste interpretazioni darebbero adito ad una visione della volta celeste simile a quella riportata nel Talmud, vista in precedenza. Eppure, se consideriamo il termine ebraico originale, raqìa, le cose non stanno esattamente così. Questo termine dà l’idea di “estensione” o, meglio ancora, di “distesa”; non indica quindi una superficie fissa, solida, ma piuttosto una “superficie estesa”.

 Genesi = 1 : 6 – 8

 E Dio proseguì dicendo: “Si faccia una distesa [raqìa]
…Quindi Dio faceva la distesa… E Dio chiamò
la distesa Cielo
.”

 8.2       La forma e la posizione della Terra.

 Coloro che vivevano all’epoca della stesura dei primi libri delle Scritture Ebraiche avevano idee fantasiosissime sulla forma della Terra e su dove essa poggiasse. Stando all’antica cosmologia egizia, l’Universo era una scatola rettangolare, disposta in senso nord-sud, come l’Egitto. La superficie solida si trovava sul fondo, come una pianura leggermente concava. Ai quattro punti cardinali, vette altissime reggevano il cielo, che era immaginato come un coperchio metallico, piatto o convesso, bucherellato, da cui pendevano le stelle, come tante lampade sospese come da funi. Secondo altre teorie la Terra era invece come un vassoio che galleggiava sulle acque. Anassimandro, astronomo e filosofo greco del VI secolo a.C., sosteneva che la Terra era cilindrica, con la larghezza tre volte maggiore della sua profondità, e che solo la parte superiore era abitata.

 Ma in effetti, l’idea più diffusa era che la Terra fosse piatta. Di tale parere era Anassagora, filosofo greco del V secolo a.C. La pensava diversamente Pitagora (VI secolo a.C.), il quale formulò la teoria che, dal momento che la Luna e il Sole erano sferici, anche la Terra doveva essere una sfera. Aristotele (IV secolo a.C.) in seguito ne convenne, spiegando che la sfericità della Terra era dimostrata dalle eclissi lunari. L’ombra della Terra sulla Luna è infatti una linea curva e non piatta.[14]

 Un notevole passo avanti in tal senso veene fatto da Eratostene (275-195 a.C.), il primo a determinare grossolanamente le dimensioni della Terra. Egli aveva notato che a mezzogiorno del solstizio estivo, mentre a Siene (l’odierna Assuan, presso il Tropico), il Sole illuminava il fondo di un pozzo (era quindi perpendicolare), ad Alessandria l’ombra di uno gnomone verticale formava con esso un angolo di 7,2° (la differenza delle loro latitudini). Dividendo 360° (la circonferenza completa o angolo giro) per questo valore, egli ottenne che la distanza tra le due località era un cinquantesimo della circonferenza dell’intera Terra. Moltiplicando quindi la distanza delle due città (5000 stadi) per cinquanta, Eratostene ottenne che la circonferenza della Terra era di 250 mila stadi, valore che corresse in seguito a 252 mila stadi. L’indeterminazione di tale misura consisteva nel valore esatto dello stadio, valore che variava da luogo a luogo, generalmente compreso tra i 160 e i 185 metri. Se si considera il valore dello stadio greco pari a 157,5 metri si ottiene una circonferenza terrestre pari a poco meno di 40.000 chilometri (non lontano da quella vera, che è di 40.008 chilometri). Se si suppone invece che Eratostene abbia usato lo stadio attico, adoperato anche da Dicearco (177,6 metri), la misura della circonferenza terrestre risulta di circa 44.850 chilometri, quindi superiore a quella reale.

 Altre misure vennero pure eseguite da Posidonio nel I secolo a.C. e da astronomi arabi nell’alto medioevo; ma la questione della circonferenza terrestre restò sostanzialmente invariata fino al XVII secolo, cioè fino alla rinascita delle scienze. Molto probabilmente, con le invasioni barbariche, andarono perse molte delle concezioni avanzate fino a quel tempo.

 Sta di fatto che la nozione di una Terra piatta, con la sola parte superiore abitata, non scomparve completamente. Alcuni non potevano accettare la conseguenza logica di una Terra rotonda[15]: il concetto di antipodi.[16] Lattanzio, apologeta cristiano del IV secolo d.C., ne mise in ridicolo l’idea stessa:

 “ Vi può essere qualcuno tanto sciocco da credere che vi siano uomini le cui orme restino più in alto delle loro teste?...che le messi e gli alberi crescano volti verso al basso e le piogge e le nevi e la grandine cadano in terra da una direzione contraria? ”

 Nell’VIII secolo d.C. il monaco irlandese Fergal, divenuto poi noto come Virgilio (o Virgilio il Geometra), fu al centro di una feroce disputa ideologica con l’anglo Bonifacio da Crediton relativa alle stesse speculazioni cosmografiche. Il soggetto della disputa finì nelle mani di Papa Zaccaria di S. Severina, il quale, con una lettera datata 1° maggio 748, dava ragione all’irlandese:

 “ ...ci sono sotto la terra un altro mondo e altri uomini e Sole e Luna. ”

 Diversamente da tutte le dissertazioni filosofiche e scientifiche analizzate, il libro biblico di Isaia, scritto attorno al VIII secolo a.C., riportava:

 Isaia  40 : 22

 “ C’è Uno [Dio] che dimora sul circolo [chugh] della Terra,
i
cui abitanti son come le cavallette”

 Secondo il Dizionario Ebraico e Caldaico di F. Scerbo (Libreria Editrice Fiorentina) il termine chugh,  tradotto “circolo”, può anche significare “sfera” o “globo”. A questo riguardo, le versioni della Bibbia a cura di mons. B. Mariani e la Versione Riveduta della Bibbia Rabbinica edita da Marietti, rendono Isaia 40 : 22 così: “Egli...siede sul globo della Terra ”.

 Un altro tema di particolare interesse per i filosofi era che cosa tenesse la Terra al suo posto. Gli antichi Egiziani sostenevano che essa fosse sorretta da colonne; i Greci asserivano che era sostenuta dalle spalle del dio Atlante; antiche tribù dell’India credevano che la Terra fosse retta da quattro elefanti e che questi a loro volta poggiassero su una gigantesca testuggine marina che stava sopra un enorme serpente che con le sue spire galleggiava nelle acque universali. Empedocle, filosofo greco del V secolo a.C. credeva che la Terra fosse sostenuta da un vortice e che questo vortice fosse la causa fosse del moto dei corpi celesti.

 Fra le idee più autorevoli c’erano  quelle di Aristotele, il quale pur avendo teorizzato che la Terra fosse sferica, negava che essa potesse essere sospesa nel vuoto. Nel suo trattato Del Cielo, per confutare l’idea che la Terra poggiasse sull’acqua disse:

 “ ...la medesima ragione [vale], come per la terra, anche per l’acqua che sostiene la terra: neppure l’acqua infatti ha la proprietà di rimaner sospesa, ma poggia a sua volta su qualcosa d’altro.

 La spiegazione di Aristotele sembrava logica. Se i corpi celesti non erano saldamente fissati a qualcosa, come facevano a stare su ?  Aristotele insegnava che il Sole, la Luna e le stelle erano perciò fissate alla superficie di sfere solide trasparenti e concentriche con la Terra, immobile, al suo centro. Tali argomentazioni, che sembravano ineccepibili, furono accettate per circa 2000 anni, tanto da assurgere al rango di dogma religioso agli occhi della Chiesa.

 Anche a questo riguardo però, le Scritture Ebraiche riportavano un passo molto interessante, che precorreva di molto i tempi. Nel libro di Giobbe, scritto presumibilmente nel XV secolo a.C. (1475 a.C. circa), viene riportato:

 Giobbe  26 :

Dio distende il nord sullo spazio vuoto,
Sospende la Terra sul nulla.

 Il termine ebraico originale che qui viene tradotto “nulla” è beli-màh, che significa letteralmente “senza niente”. La versione della Bibbia a cura del Pontificio Istituto Biblico usa invece l’espressione “nel vuoto”, dello stesso significato. Quindi più di tremila anni fa le Scritture Ebraiche dicevano che la Terra non poggia su alcun sostegno visibile, concordando con le scoperte, molto più recenti, delle leggi gravitazionali e del moto.

 Questa peculiarità spinse un erudito religioso, F.C. Cook, a scrivere:

 Come facesse Giobbe a conoscere la verità è un problema di non facile soluzione per coloro che negano l’ispirazione della Sacra Scrittura.[17]

 8.3       Giorno e notte, luce e tenebre, anni e stagioni.

 Nel libro della Genesi, la cui compilazione viene attribuita a Mosè (XVI secolo a.C.), si parla in maniera significativa della creazione del Sole e della Luna, descritti rispettivamente come il luminare del giorno e quello della notte. Di particolare interesse è il loro scopo e la loro influenza sulla la vita degli esseri umani.

 Genesi  1 : 14 – 18

 E Dio proseguì dicendo: «Si facciano luminari nella distesa dei cieli
 per fare una divisione fra il giorno e la notte;

e
dovranno servire come segni e per le stagioni e per i giorni e gli anni...»

Così Dio li pose nella distesa dei cieli per splendere sopra la terra,

e
per dominare di giorno e di notte
e
per fare una divisione fra la luce e le tenebre.

 In effetti i due luminari hanno assunto nella vita degli esseri umani una parte essenziale nel calcolo dello scorrere delle stagioni e degli anni. Per le popolazioni pastorali generalmente propense agli spostamenti per seguire la transumanza dei greggi e delle mandrie, la Luna dava la possibilità di suddividere il tempo in quei periodi fissati dalle sue fasi. Per le culture agricole invece, generalmente più stanziali, l’osservazione della posizione del sorgere e del tramontare del Sole sull’orizzonte o il variare dell’ombra di uno stilo piantato verticalmente nel terreno (gnomone) dava la possibilità di scandire il susseguirsi dei giorni, delle ore e delle stagioni. È anche da notare che lo scopo dei due luminari era quello di fare una divisione fra la luce e le tenebre. A questo riguardo è estremamente interessante notare cosa dice Paul Couderc, astronomo presso l’Osservatorio di Parigi, su quelle che erano invece le antiche credenze per dare una spiegazione all’esistenza della luce e delle tenebre:

 “ Fino al V secolo avanti Cristo, gli uomini erano in errore per quanto riguarda la questione fondamentale relativa al giorno e alla notte. Per loro la luce era un vapore luminoso, mentre le tenebre erano un vapore nero, che la sera saliva dal suolo.

 Anche in questo caso, l’affermazione di Genesi, anche se succinta, appare scientificamente accurata.

 8.4       La durata dei giorni creativi.

 In base alla teoria del Big Bang, gli astronomi sono concordi a stimare la nascita dell’Universo tra i 15 e i 20 miliardi di anni fa. Il Sole e il sistema solare, tra cui la Terra, hanno almeno 4-5 miliardi di anni. Eppure, negli anni ’80 del secolo scorso creazionisti e fondamentalisti protestanti hanno portato avanti una battaglia  a loro dire  per rivalutare le Sacre Scritture. In questa campagna “biblista” alcuni di essi hanno sostenuto che l’Universo e la Terra hanno meno di 10 mila anni e che la Terra fu creata in 6 giorni letterali, attirandosi così gli scherni di geologi, astronomi e fisici. Ma le cose stanno realmente così ?  Innanzi tutto si deve notare ciò che il racconto biblico dice:

 Genesi  1 : 1

 “ In principio Dio creò i cieli e la terra.
Ora, la terra risultò essere informe e vuota

e
c’erano tenebre sulla superficie delle acque dell’abisso,
e
la forza attiva di Dio si muoveva sulla superficie delle acque.

 Alcune traduzioni, per descrivere la condizione della Terra prima dell’inizio dei giorni creativi, usano il termine “informe e vacua” invece che “informe e vuota”, ma questo non cambia il significato della frase: la Terra esisteva ancora prima del primo giorno creativo. Il libro di Genesi non sembra confinare la creazione della Terra e quindi  ancor prima  la creazione dell’Universo, all’interno dei sei giorni creativi. Quando Dio inizia ad operare la creazione sul nostro pianeta, il primo giorno, in realtà la Terra esiste già e le scritture non dicono da quanto tempo. Il primo giorno creativo non è nemmeno menzionato fino a Genesi 1 : 3 – 5.

 Se consideriamo infine la parola ebraica originale che viene usata nella definizione di “giorno creativo”, yohm, ci si accorgerà che lo stesso termine viene usato in altre parti delle Sacre Scritture, e non necessariamente per designare un giorno di 24 ore, come sostengono certi fondamentalisti, ma per indicare una unità di tempo di varia durata, che potrebbe assumere anche il significato di: periodo, èra (geologica), tempo indeterminato o indefinito.

 9.      Conclusioni.

 Molti ritengono che la Bibbia sia stata scritta in un’epoca prescientifica e che come tale rifletterebbe pregiudizio e ignoranza. Eppure, l’attento studio dei testi biblici, ha rivelato che in essa è contenuta una sostanzialmente corretta conoscenza dei principi naturali che sono alla base di molte scienze attuali. È stato dimostrato che, in molti casi, tali conoscenze sono state fatte proprie da altri popoli solo dopo vari secoli che erano state messe per iscritto dagli scrittori biblici.

Il corretto intendimento di queste argomentazioni però richiede l’accostarsi ad esse con una giusta attitudine mentale, epurando tali scritti da quella coltre di scetticismo, pregiudizi e sospetti, che nel corso dei secoli su di essi si sono accumulati.

 Ma come la pensano a questo riguardo alcuni scienziati ? Facendo riferimento alla teoria del Big Bang e al racconto di Genesi, l’astronomo Robert Jastrow afferma:

 “ La sostanza dei recenti sviluppi è che l’universo ebbe, in un certo senso, un principio, cioè che cominciò ad un certo punto del tempo…gli astronomi sono curiosamente turbati; ora vediamo che l’astronomia ci porta ad adottare lo stesso punto di vista sull’origine del mondo sostenuto dalla Bibbia. I particolari differiscono, ma nelle linee essenziali la descrizione fatta sia dall’astronomia che dal racconto biblico di Genesi è la stessa. ”[18]

 Anche l’astrofisico John Gribbin:

 “Quello che accadde dopo il Big-Bang, ciò che determinò l’istante della creazione rimane un mistero…
Dopo tutto, forse è stato davvero Dio a farlo.
[19]

 Comunque, sia che crediamo o meno a questa affermazione, noi, come semplici amanti delle stelle, quando nella notte alziamo gli occhi al cielo e rimaniamo estasiati e impauriti al tempo stesso dallo splendore e dalla vastità dell’Universo, proviamo a riflettere profondamente sulle parole esposte nel libro biblico dei Salmi:

 Salmo  19 : 1

 “ I cieli dichiarano la gloria di Dio, e
la
distesa annuncia l’opera delle sue mani. ”

                                                                                                                     


[1] La parola “Bibbia” deriva dal termine greco biblìa, che significava “rotoli” o “libri”.  Questi furono scritti in origine in tre diverse lingue: l’ebraico, l’aramaico e il greco.

[2] The New Encyclopædia Britannica, Micropædia, 1987, vol. 2, pag.194.

[3] The Illustrated Bible Dictionary, volume I, pagina 572.

[4] Secondo la Mishnàh “chi pronuncia il nome di Dio con le sue lettere” non ha parte nella futura terra paradisiaca promessa da Dio. (Mishnaiot, trattato Sanhedrin, X, 1, traduzione di V. Castiglioni, Tip. Sabbadini, Roma, 1962).

[5] Il tempio di Gerusalemme, simbolo della cultura religiosa del popolo ebraico, secondo il racconto biblico venne costruito dal re Salomone. Subì una prima distruzione attorno al 607 a.C. ad opera dei babilonesi di Nabucodonosor, che ne deportarono a Babilonia l’intera popolazione. Dopo 70 anni di esilio forzato, a seguito della conquista di Babilonia da parte dell’esercito persiano di Ciro il Grande, il popolo d’Israele poté ritornare in patria e ricostruire il tempio, ripristinandone così il valore religioso e culturale.

[6] I libri che compongono il Vecchio Testamento o Antico Testamento vengono anche detti “Scritture Ebraiche”, poiché scritte principalmente in ebraico. Esse narrano la storia del popolo di Israele da Adamo fino al periodo dei profeti, prima della nascita di Gesù Cristo. I libri che compongono il Nuovo Testamento vengono anche detti “Scritture Greche o Greco-cristiane”. Essi comprendono avvenimenti dalla nascita di Gesù e dell’opera apostolica fino all’Apocalisse (o Rivelazione). Entrambe, le Scritture Ebraiche e le Greco-cristiane, compongono la Bibbia.

[7] Il termine “Talmud” significa “studio” o “dottrina”. Storicamente furono compilati due Talmud: quello palestinese e quello babilonese. Di solito quando si parla di Talmud si intende quello babilonese, che è quello più voluminoso e più profondo nella sua modalità di pensiero e di analisi, il più studiato e commentato nel corso dei secoli.

[8] Quest’ultimo metodo, migliorato in anni recenti, permette infatti di arrivare a una data assoluta in base al confronto della forma e della posizione delle lettere con fonti esterne quali monete e iscrizioni datate, e quindi si è affermato in ambito archeologico come metodo relativamente più affidabile del precedente.

[9] Millar Burrows, Prima di Cristo, 1961, Feltrinelli Editore, traduzione di A. Dell’Orto, pag. 295.

[10] Frederic Kenyon, Our Bible and the Ancient Manuscripts, 1958, pag. 55.

[11] A questo riguardo è interessante notare che dal punto di vista medico l’ottavo giorno è l’ideale per valide ragioni fisiologiche. Solo dal quinto al settimo giorno dopo la nascita vi è nell’organismo del bambino una normale quantità di vitamina K, che presiede alla coagulazione del sangue. Pare che l’ottavo giorno la protrombina, altro elemento essenziale per la coagulazione, sia presente in quantità più elevata che in qualsiasi altro momento della vita del bambino, per cui l’ottavo giorno risulta il giorno ideale per sottoporre il neonato alla circoncisione senza rischi di emorragie. Questo rivela certamente delle conoscenze non comuni per quei tempi. (S.I. McMillen, None of These Diseases, pagg. 22, 23)

[12] C. P. Bryan, The Papyrus Ebers,1931, pp. 73, 91, 92.  H. Von Deines, H. Grapow, W. Westendorf, Grundiss der Medizin der alten Ägypter IV 1, Übersetzung der medizinischen Texten, 1958, n° 541.

[13] È stata avanzata l’ipotesi che Tammuz o Dumuzi fosse in origine un re che dopo morto venne deificato. Testi sumerici attribuiti al XVIII secolo a.C. mostrano che i re di Sumer erano identificati con Dumuzi. Riguardo alla identificazione di Tammuz, è stato osservato: “Nell’antica Sumer c’erano vari ‘dèi morenti’, ma il più noto è Dumuzi, il biblico Tammuz, che le donne di Gerusalemme piangevano ancora ai giorni del profeta Ezechiele. In origine il dio Dumuzi era un comune mortale, un sovrano sumero, la cui vita e morte lasciarono una profonda impressione sui pensatori e mitografi sumeri”. (D. Wolkstein e S. N. Kramer, Inanna, Queen of Heaven and Earth, New York, 1983, p. 124) Inoltre O. R. Gurney afferma: “Dumuzi era in origine un uomo, un re di Erec.... L’umanità di Dumuzi è pure confermata dal brano mitologico in cui egli dice a Inanna: ‘Ti condurrò alla casa del mio dio’. Un dio non si sarebbe espresso in questo modo”. — Journal of Semitic Studies, Manchester, vol. 7, 1962, pp. 150-152.

[14] Solo un oggetto sferico appare circolare da ogni angolazione. Un disco piatto, come alcuni credevano che la Terra fosse, più spesso apparirebbe ellittico, non circolare.

[15] Per l’esattezza la Terra è un Geoide (nome che fu introdotto da Listing nel 1873), cioè uno sferoide ellissoidale, essendo leggermente schiacciata ai poli.

[16] Antipodi, dal greco antìpodes, letteralmente “che si oppongono con i piedi”. Viene detto di chi abita in punti della Terra diametralmente opposti. Il termine viene usato per indicare due punti diametralmente opposti della superficie terrestre o di un qualsiasi corpo sferico.

[17] Cook, F.C., Cook’s Commentary, 1978, vol. IV, pag. 96.

[18] Robert Jastrow, God and the astronomers, 1978, pagg. 11, 14, 16.

[19] New Scientist, 16/08/1979, pag. 205.