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Pitea:
navigatore-astronomo del IV secolo a.C. Il
viaggio di Pitea alla scoperta delle isole britanniche, dell’isola
di Tule e del Mar Baltico, è ben conosciuto dai popoli del nord
Europa e i più grandi astronomi dell’antichità, fra cui
Eratostene, e dei tempi moderni, hanno utilizzato le osservazioni
astronomiche di Pitea. Inoltre, recentemente gli archeologi hanno
scoperto prove del collegamento del mondo greco con l’Europa
settentrionale, e cioè: monete di Marsiglia dell’epoca di Pitea
a Monte San Michele in Cornovaglia, sulla Via
dello stagno, e monete e statuette greche a Bromberg, presso
il mar Baltico, sulla Via
dell’ambra. Pitea visse nel IV secolo avanti Cristo, al tempo di Alessandro il Grande e di Aristotele, e tra il 330 ed il 320 a.C. partì da Marsiglia verso il Mare del Nord. Dei suoi scritti “L’oceano” e “Viaggio attorno alla terra”, si conoscono solo i titoli, ma questi resoconti del suo viaggio sono stati commentati da tutti gli eruditi per almeno sei secoli. A capo della biblioteca di Alessandria, il grande Eratostene fece ampio uso delle osservazioni scientifiche di Pitea, a cui accordò tutta la sua fiducia. Ma fu proprio uno degli incendi che distrussero quella biblioteca a fare sparire le opere di Pitea. Di queste opere gli eruditi dell’antichità facevano delle semplici citazioni, tanto erano conosciute nel loro ambiente. Eratostene misurò con precisione la circonferenza della Terra, Ipparco fu il più grande astronomo dell’antichità. Pitea deve invece la sua fama all’avere individuato il polo celeste, la latitudine di Marsiglia, la misura dell’inclinazione dell’eclittica, il ciclo delle maree dovuto alla Luna ed il Sole di mezzanotte in Islanda. Un secolo prima di Pitea dei navigatori cartaginesi avevano esplorato l’Oceano: Imilcone aveva risalito le coste europee fino alla Gran Bretagna e Annone aveva disceso quelle dell’Africa fino al golfo di Guinea. L’iniziativa cartaginese fu ripetuta a Marsiglia, inviando Pitea a nord ed Eutimene a sud. Pitea partì soprattutto per soddisfare la sua curiosità scientifica. Ai suoi tempi si sapeva già che la Terra è rotonda ed egli verificò che alla latitudine di 66° 5’ nord, il Sole non tramonta d’estate. Pitea parlava la lingua celtica delle tribù galliche dei dintorni di Marsiglia, lingua diffusa fino all’Oceano e in tutta l’Europa. Infatti, più tardi, Varrone osservò che i marsigliesi parlavano correttamente greco, latino e gallico. Pitea poté quindi avere, dagli abitanti dei luoghi visitati, tutte le informazioni su navigazione, territori, altezza delle maree e direzioni del tramonto del Sole. Nei suoi commentari Ipparco fa un confronto fra l’approccio teorico di Eudosso e quello più pratico di Pitea, scrivendo che Pitea aveva più conoscenze astronomiche di quel famoso astronomo e che a Marsiglia insegnava il vero sistema terrestre. Pitea viaggiò ad un buon ritmo, di circa 150 chilometri al giorno, ed essendo astronomo sapeva orientarsi e trovare la rotta, di giorno con il Sole e di notte con le stelle. Sulle rive dell’Oceano Pitea scoprì le maree, soprattutto le grandi maree equinoziali. Da astronomo conosceva ogni volta la posizione e la fase della Luna e capisce che il ciclo delle maree è di 24 ore e 50 minuti. Luna e maree hanno 50 minuti di ritardo al giorno, cioè un ciclo di ritardo ogni mese lunare. Pitea nel suo viaggio prese ad ogni scalo piloti locali, conoscitori di coste e maree. L’astronomia è una scienza basata su lunghe osservazioni. Una vita non basta all’uomo più geniale per capire tutti i fenomeni del cielo. Le conoscenze astronomiche esigono decine, centinaia d’anni di osservazioni, per determinare il periodo di rivoluzione dei pianeti o il ciclo delle eclissi. Ogni generazione di astronomi utilizza quindi le osservazioni accumulate dalle generazioni precedenti. Al tempo di Pitea le conoscenze astronomiche erano già progredite. Gli astronomi egizi e babilonesi avevano già elaborato un calendario solare molto preciso, e quelli greci avevano acquisito le conoscenze di astronomia egizie e babilonesi grazie a Talete. Osservazioni regolari del cielo durante decine d’anni, avevano dimostrato che le eclissi di Sole si verificavano regolarmente ogni 223 lunazioni, e molto prima i popoli megalitici, all’epoca di Stonehenge, avevano osservato che ogni 18,6 anni la Luna tramontava in posizioni estreme. Al tempo di Pitea si sapeva già che la Terra è rotonda. Durante un’eclisse di Luna, Pitagora aveva osservato che l’ombra della Terra proiettata sulla Luna era un arco di cerchio e che rimaneva tale sia che l’eclisse avvenisse a levante, al meridiano o a ponente, prova che la Terra è una sfera e non un disco. Gli astronomi immaginavano che anche la Luna, il Sole e i pianeti fossero sferici e sapevano che l’anno dura 365 e ¼, che l’estate inizia al solstizio (da sol stat), quando la traiettoria del Sole resta la stessa per alcuni giorni e la nostra stella è più alta nel cielo. Un astronomo greco, Euctemone, aveva perfino scoperto, nel 430 a.C., che le quattro stagioni hanno durate ineguali; si pensa che questi risultati fossero stati ottenuti utilizzando uno strumento astronomico fisso come lo gnomone. Pitea era un grande specialista dello gnomone e misurava la durata delle stagioni, delimitava il mese zodiacale, stabiliva il calendario, dava l’ora ai suoi concittadini. Anche a Roma c’era un sistema di osservazione solare simile a quello di Pitea a Marsiglia; era l’horologium di Augusto. Il suo obelisco del IV secolo a.C., importato a Roma dall’Egitto sotto Augusto, era fortunatamente rimasto intatto, ma la sua funzione astronomica era stata dimenticata. Durante gli scavi fatti nel 1979, gli archeologi hanno messo in luce il livello della terrazza di questo osservatorio, trovando le graduazioni in bronzo e le iperboli incise nel suolo. Secondo l’astronomo Cleomede, vissuto al tempo di Augusto, l’osservatorio di Pitea aveva uno gnomone alto una decina di metri. Per Pitea, lo scopo del viaggio intrapreso verso il nord Europa, fu forse quello di misurare la circonferenza della Terra, trasformando così il viaggio in una spedizione scientifica. Gli astronomi dell’epoca di Pitea sapevano infatti che non era necessario fare un giro completo della Terra per misurarne la circonferenza, ma che era sufficiente percorrere in direzione nord-sud un arco di alcuni gradi, fra due punti sullo stesso meridiano, di cui si conosceva la latitudine. Le conoscenze matematiche di Pitea erano scarse, ma erano sufficienti per misurare la circonferenza della Terra e l’inclinazione del suo asse di rotazione che, alla nostra latitudine, fa vedere il Sole nel cielo alto d’estate e basso d’inverno.
L’obliquità dell’eclittica in rapporto all’equatore
(vedi figura) era già stata scoperta nel VI secolo a.C. dall’astronomo
greco Anassimandro, e Pitea la misurò a Marsiglia, rilevando il
dato più preciso di tutta l’antichità. L’osservazione di
Pitea è importante perché dopo la sua epoca questo angolo è
cambiato, con probabili conseguenze sul clima della Terra. Pitea
misurò la latitudine di Marsiglia utilizzando il suo gnomone nei
giorni degli equinozi. In tali giorni, un osservatore situato sull’equatore,
a latitudine 0°, a mezzogiorno vede il Sole sulla verticale,
cioè allo zenit, a 90°. Negli stessi giorni un osservatore
situato a Marsiglia, alla latitudine di 43° 18’ vede il Sole a
46° 42’ al di sopra dell’orizzonte, cioè a 43° 18’ dallo
zenit, complemento a 90°. È questa posizione del Sole, alto sull’orizzonte
per 46° 42’, che Pitea misurò con il suo gnomone il giorno
dell’equinozio, ricavando così, per differenza a 90°, la
latitudine di Marsiglia.
Pitea dedicò molto tempo alla costruzione del suo
osservatorio, da cui dipendeva la precisione delle sue
osservazioni. Come si è detto in precedenza, un importante
elemento dell’osservatorio era lo gnomone, elemento che i greci
conoscevano dal VI secolo a.C. Erodoto riporta che essi ne avevano
imparato l’uso dai babilonesi.
Pitea fece erigere uno gnomone alto una decina di metri e ne
controllò la verticalità; quindi controllò l’orizzontalità
del piano su cui era posto, largo 60 metri da est ad ovest e 30
metri da nord a sud. Per
tracciare la linea
meridiana, per determinare cioè la linea nord-sud, Pitea
utilizzò il metodo usato dagli egizi per orientare le piramidi
secondo i punti cardinali. Egli individuò due posizioni
simmetriche del Sole, quando è alla stessa altezza sull’orizzonte,
seguendo un semplice metodo che non richiede strumenti. In un
momento della mattina Pitea segnò con a
la posizione dell’estremità dell’ombra dello gnomone.
Successivamente la lunghezza di questa ombra diminuì fino a
mezzogiorno, per poi cominciare ad aumentare. Nel pomeriggio Pitea
osservò attentamente l’allungamento dell’ombra dello gnomone
e quando la vide uguale a quella rilevata al mattino ne segnò con
b l’estremità. La
linea congiungente a e b
è la direzione est-ovest, e la sua perpendicolare è la linea
meridiana nord-sud. Pitea poteva individuare questa linea nord-sud
tracciando una linea fra il centro della linea a-b
e la base dello gnomone, oppure usando la dimostrazione di
Pitagora, secondo cui si può costruire un triangolo rettangolo
avente i lati nel rapporto 3, 4 e 5. La linea meridiana dà ogni
giorno l’ora del mezzogiorno vero, l’ora del passaggio del
Sole sul meridiano locale.
Come gli astronomi di tutti i tempi, Pitea osservava il
cielo ogni giorno dell’anno, condizioni meteorologiche
permettendo, ed individuava ogni giorno lo spostamento della
estremità dell’ombra dello gnomone sul suolo. Ogni giorno l’ombra
del Sole è minima a mezzogiorno, ma le curve tracciate dall’estremità
dell’ombra dello gnomone sono ogni giorno diverse. Queste curve
costituivano il calendario
di Pitea e gli permettevano di individuare i cambiamenti di
stagioni e i mesi zodiacali. In primavera e in estate l’ombra è
più corta. La sua curva più vicina alla base dello gnomone
corrisponde al giorno del solstizio d’estate. In autunno e in
inverno l’ombra è più lunga, e la sua curva più lontana dallo
gnomone corrisponde al giorno del solstizio d’inverno. Pitea
infisse nelle lastre della terrazza dei marcatori di bronzo che
segnavano la linea meridiana, la linea degli equinozi e le sei
curve che delimitavano i 12 segni zodiacali. Egli non seppe mai
che le curve che aveva tracciato sul suolo erano delle iperboli.
Le proprietà delle curve matematiche ― iperboli, parabole
ed ellissi ― sarebbero state comprese ed applicate solo un
secolo più tardi, verso il 210 a.C., da Apollonio di Perge, nel
suo trattato matematico “Le coniche”.
Pitea osservò che all’epoca degli equinozi i giorni o le
notti si allungavano rapidamente, mentre ai solstizi l’orbita
del Sole è stabile per diversi giorni e lo spostamento dell’ombra
è impercettibile ed è difficile determinarne esattamente la
data. Ma egli osservò anche che 15 giorni prima e 15 giorni dopo
i solstizi, lo spostamento dell’ombra è percettibile da un
giorno all’altro e quindi, per simmetria, ricavò, dalla data
media, il giorno preciso del solstizio.
Per misurare l’obliquità
dell’eclittica, Pitea trasformò in gradi la differenza
fra la lunghezza dell’ombra dello gnomone al solstizio estivo e
quella agli equinozi, utilizzando un procedimento geometrico. Egli
misurò la lunghezza dell’ombra dello gnomone a mezzogiorno, che
era: 41,8 divisioni il giorno del solstizio d’estate, e 111
divisioni il giorno degli equinozi. Misurò quindi l’angolo fra
queste due altezze del Sole, portandole dal loro piano verticale
sul piano orizzontale della sua terrazza. Per fare ciò espresse l’ampiezza
dell’angolo in frazioni di circonferenza, secondo l’uso dei
suoi tempi. Poi tracciò al piede dello gnomone una linea
perpendicolare alla linea meridiana. Sulla sua parte ad ovest, ad
una distanza dalla base dello gnomone pari all’altezza dello
stesso, fissò il centro di un cerchio che tracciò sul suolo.
Unì poi con delle linee il centro del cerchio ai due punti
raggiunti dall’ombra dello gnomone al solstizio d’estate e
agli equinozi. Determinò così l’angolo che cercava, quello
dell’obliquità dell’eclittica. Per
esprimere questo angolo in una frazione di circonferenza, Pitea lo
riportò sul cerchio 15 volte, ma con un piccolo residuo, poiché
l’angolo è leggermente inferiore a 24°. Allora Pitea
considerò questo piccolo residuo come la sua nuova unità di
misura: lo riportò 11 volte sull’angolo dell’obliquità dell’eclittica
e 166 volte sul cerchio. L’obliquità dell’eclittica gli
risultò quindi pari a 11/166, cioè 23° 51’.
Alcuni dei dati rilevati da Pitea durante il suo viaggio
avevano però un margine di errore, perché egli non era a
conoscenza del fenomeno della rifrazione atmosferica, che sposta
orizzontalmente l’azimut reale della levata e del tramonto del
Sole, curvando i raggi luminosi negli strati bassi dell’atmosfera.
Una delle scoperte di Pitea fu l’osservazione del polo
celeste, che gli valse, un secolo dopo, gli elogi del
grande astronomo Ipparco. Oggi, molto vicino al polo celeste, che
è il prolungamento dell’asse terrestre, c’è una stella
polare attorno alla quale si vedono girare tutte le altre stelle.
La presenza di una stella polare è particolare della nostra epoca
ed è un caso che l’asse della Terra sia oggi diretto verso una
stella, perché questa situazione, che si sta evolvendo, durerà
soltanto ancora uno o due secoli. L’osservazione della posizione
del polo celeste in rapporto ad alcune stelle circumpolari fatta
da Pitea è molto importante perché ci permette di conoscere la
configurazione del cielo alla sua epoca. Infatti, da allora le
coordinate delle stelle sono cambiate, o meglio, si è spostato l’asse
terrestre. Durante
la notte, le stelle vicine all’equatore celeste descrivono due
grandi archi di cerchio, mentre le costellazioni circumpolari,
come le due Orse ed il Drago, descrivono dei cerchi più piccoli.
Pitea identificò le due o tre stelle più vicine al polo celeste
― quelle che descrivono i cerchi più piccoli ― ed
individuò al centro di questi piccoli cerchi la posizione del
polo celeste, cioè il punto immobile per tutta la durata della
notte. Per le sue osservazioni Pitea utilizzò la punta dello
gnomone come punto fisso, ed una griglia posta ad una decina di
metri a sud di esso, su cui segnò i passaggi delle stelle
circumpolari. I segni gli servirono per tracciare dei cerchi
concentrici, al cui centro era situato il polo celeste. Si ritiene
che Pitea abbia utilizzato per le sue osservazioni il periodo
delle lunghe notti invernali.
È bene qui ricordare che l’asse della Terra descrive in
26000 anni un cono in seno inverso a quello della rotazione e che
quindi all’epoca di Pitea l’asse puntava verso una zona di
cielo diversa da quella dell’attuale stella Polare. Fra 14000
anni sarà diretto invece verso la brillante stella Vega (nella
costellazione della Lira), che sarà la nuova stella polare. Se
Pitea avesse saputo che il corridoio della piramide egizia di
Cheope era orientata verso la stella alfa del Drago (α
Draconis), situata al polo celeste 2300 anni prima, avrebbe
constatato lo spostamento intervenuto da quell’epoca e ne
avrebbe potuto dedurre il movimento simile a quello di una
trottola dell’asse terrestre. Due secoli più tardi sarà
Ipparco a scoprire questo movimento, noto col nome di precessione
degli equinozi, osservando, durante una eclissi, che una
certa stella si era spostata di diversi gradi, in rapporto alla
direzione Terra-Luna-Sole, dal tempo di un’altra osservazione
fatta 150 anni prima dall’astronomo Timocaris.
Questo è un esempio dell’utilizzo di precedenti
osservazioni che si trovano anche in poemi come l’Odissea, dove nel libro V è scritto:
“Boote
[la costellazione del Bovaro] che
tardi tramonta e l’Orsa ... che ruota in un punto”
L’Odissea fu scritta, al più presto, nel VIII secolo
a.C., ma è la trascrizione di una tradizione poetica orale che
risale a centinaia di anni prima.
Durante il suo viaggio, Pitea di giorno in giorno si
orientava con il Sole. Di notte navigava orientandosi con le
costellazioni circumpolari e nessuno meglio di lui conosceva la
posizione del polo celeste. In ogni scalo importante egli poteva
misurare l’altezza del Sole al momento del suo passaggio sul
meridiano e calcolare la latitudine di ogni nuova contrada. Pitea
doveva avere con sé uno strumento astronomico portatile, un
modello ridotto del suo osservatorio di Marsiglia. Prima di
partire doveva averlo attentamente preparato per un intero anno,
tracciandovi le iperboli dei solstizi, la linea degli equinozi e
graduando la linea meridiana. Dopo la sua partenza da Marsiglia,
ad ogni scalo, osservando l’altezza del Sole a mezzogiorno,
poteva conoscere la sua progressione in latitudine.
Pitea fu il primo studioso che attribuì alla Luna la causa
delle maree e che scoprì l’influenza delle fasi lunari sulle
stesse. Grazie agli scritti di Eratostene si sa che Pitea aveva
messo infatti in relazione i movimenti della Luna in cielo e i
flussi e riflussi del mare. Più tardi Poseidonio, altro grande
astronomo dell’antichità, spiegherà il perché delle grandi
maree equinoziali, e Plinio informerà sul ritardo delle maree in
rapporto al passaggio della Luna sul meridiano, menzionando anche
lui l’estrema ampiezza delle maree menzionate da Pitea nelle
isole britanniche.
Pitea scoprì la sincronizzazione di Luna e maree osservando
il fenomeno in tre tempi. La prima sera egli registrò la
posizione di stelle e Luna al momento del massimo di marea. La seconda
sera, alla stessa ora, le stelle erano nella stessa posizione,
ma la Luna era in ritardo come la marea, che non aveva ancora
finito di salire. La stessa sera, 50 minuti più tardi, la
Luna aveva raggiunto la posizione della sera prima e così il mare
al massimo di marea. Pitea correlò così la posizione della Luna
e del ciclo delle maree. Ci vogliono 24 ore e 50 minuti perché
Luna e maree effettuino il loro ciclo completo e ritrovino la
stessa posizione della sera prima.
Ora, Pitea sapeva che la Terra è rotonda, come del resto
ben sapevano Aristotele, che nel suo Del
Cielo spiega come si possa andare dalle “Colonne d’Ercole”
alle Indie, ed Eratostene. All’epoca di Cristoforo Colombo
però, le longitudini non erano ancora ben conosciute e la
riscoperta del sapere di Tolomeo, che aveva assunto l’errata
misurazione per difetto della Terra fatta da Poseidonio, invece di
quella più esatta fatta da Eratostene, faceva credere la Terra
era più piccola di quello che è in realtà. Inoltre, l’estensione
del Vecchio Continente era sovrastimata e gli scopritori di nuove
terre pensavano che la traversata dell’Oceano non sarebbe stata
troppo lunga. Questa sottovalutazione della distanza da percorrere
diede però a Cristoforo Colombo l’audacia necessaria per
partire e scoprire così il Nuovo Mondo.
Pitea ha inoltre arricchito la geografia e la storia con i
nomi di luoghi e di popoli. Ha informato di avere osservato il
fenomeno del Sole
di mezzanotte, che si osserva a partire dalla latitudine
di 66° 5’. Non ha invece informato sulla Luna che non tramonta,
detta Luna di mezzanotte, che si
può osservare dalla latitudine di 61° o soltanto da quella di
72°, secondo un ciclo di 18,6 anni (ciclo di Metone). Se Pitea
avesse segnalato il fenomeno della Luna di mezzanotte e a quale
latitudine l’aveva osservato, oggi si saprebbe l’anno del suo
viaggio.
In un’opera di Ipparco, oggi perduta, erano riportate
alcune osservazioni di Pitea, che furono fortunatamente salvate da
Strabone:
“A 6300 stadi da
Marsiglia, durante le giornate invernali, il Sole non si leva che
a 6 cubiti, e a 9100 stadi da Marsiglia soltanto 4 cubiti, a meno
di 3 cubiti nelle regioni al di là. ... Il
primo punto con il Sole a 12° al di sopra dell’orizzonte,
corrisponde alla penisola dello Jutland, a 54° di latitudine. Il
secondo punto, con il Sole a 8° al di sopra dell’orizzonte,
corrisponde all’estremità nord della Gran Bretagna, a 58° di
latitudine. Il terzo punto corrisponde alle Isole Shetland, a 60°
5’ di latitudine ”.
È provato che Pitea poté raggiungere l’Islanda dall’estremità
nord della Gran Bretagna, in sei giorni di navigazione da lui
dichiarati. Il nome Tule, usato da Pitea per indicare l’Islanda, viene considerato
un termine indoeuropeo, che ha preso poi significati diversi nelle
varie lingue. Thyle in
antico sassone e Tiule
in gotico, significano “il limite estremo”. Tula
in sanscrito significa “la bilancia” ed indica la
costellazione dell’Orsa Maggiore. Nel
IV secolo lo storico bizantino Procopio di Cesarea descrive Tule
come un’isola grande dieci volte la Gran Bretagna. Una parte è
deserta e l’altra è abitata da tredici popoli, governati ognuno
da un re (questo particolare è però meglio riferibile all’Irlanda).
In tale isola, all’epoca del solstizio d’estate, il Sole resta
sopra l’orizzonte per quaranta giorni, e all’epoca del
solstizio d’inverno resta assente per quaranta giorni, e ciò è
crudelmente risentito dagli abitanti.
Il Sole che non tramonta mai, lo spettacolare avvenimento
descritto da Pitea, è stato riportato da numerosi autori greci e
latini. Lungo le coste britanniche e gli arcipelaghi del nord,
fino all’Islanda, i marinai di Marsiglia avevano visto che a
mezzogiorno il Sole culminava sempre più in basso e che alla sera
tramontava prima nord-ovest e poi verso nord. Pitea conosceva
questi due effetti della maggiore latitudine e annotava sul suo
giornale di bordo, ogni giorno a mezzogiorno, l’altezza del Sole
sul meridiano e la direzione del suo tramonto.
Osservando notti sempre più corte, Pitea diede alla ora
la sua misura temporale moderna di 1/24 di una giornata. Ai suoi
tempi, babilonesi e greci dividevano in 12 ore il giorno e in 12
ore la notte, e quindi d’estate avevano delle ore diurne lunghe
e delle ore notturne brevi, mentre d’inverno succedeva il
contrario. Anche per questo motivo Pitea merita la più grande
attenzione, attenzione che, come già detto, egli ebbe per molti
secoli da parte degli eruditi, fra cui l’astronomo del I secolo
a.C. Cleomede che, nel suo trattato Del
movimento circolare dei corpi celesti, scrisse:
“Relativamente all’isola
chiamata Tule, nella quale si dice sia andato il filosofo Pitea di
Marsiglia, sembra che l’intero cerchio descritto dal Sole al
solstizio estivo sia al di sopra dell’orizzonte, di modo che in
quei luoghi coincide con il grande cerchio circumpolare”
Stranamente, nessuno dei testi che ci sono pervenuti su
Pitea menziona i geyser e i vulcani dell’Islanda. Pitea ha
invece menzionato l’ambra del Mar Baltico, che nell’antichità
era preziosa come l’oro. Un pezzetto d’ambra infatti aveva il
valore di uno schiavo.
Le scoperte di Pitea nel Mar Baltico, spesso raccolte con l’intermediazione
di altri eruditi greci, ci sono state trasmesse da Diodoro Siculo,
Pomponio Mela e Plinio il Vecchio. Questo ultimo dichiarò che
tutto quello che sapeva sulle coste della Germania, al di là dell’Elba,
lo doveva al navigatore-astronomo di Marsiglia, Pitea.
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